Salvatore Di Lucia
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“Se mi sento triste, faccio matematica per essere felice. Se sono felice, faccio matematica per restare felice.”
(Alfréd Rényi)
Definizione di limite finito per x tendente a un valore finito
La definizione di limite finito per x tendente a una valore finito è
la prima delle quattro definizioni che consentono di definire
l’operazione di passaggio al limite per funzioni reali di una variabile reale.
In questa lezione spieghiamo la definizione di limite nel primo dei quattro casi che abbiamo presentato nell’introduzione sul concetto di limite, e nel frattempo cerchiamo di prendere confidenza con questa nuova operazione.
In particolare daremo un senso alla scrittura di limite per x tendente a un valore finito e che assume un valore finito:
Per farlo proporremo una definizione simbolica basata sull’uso di
due parametri di controllo delle distanze per le ascisse e le ordinate,
rispettivamente
delta ed epsilon.
Raccomandiamo molta pazienza a chi legge la definizione per la prima volta. 😉
Indice
-
Premesse
-
Definizione di limite finito per x tendente a un valore finito
-
Analisi della definizione
-
Analisi grafica
-
Definizione equivalente con gli intorni
-
Esempio di verifica di un limite con la definizione
Premesse per la definizione di limite finito con x tendente a un valore finito
Prima di scrivere la definizione è opportuno fare alcune premesse. Come abbiamo già anticipato, il limite che intendiamo definire è il seguente:
doveè una funzione reale di variabile reale.
C’è una sola condizione che ci serve per poter definire il limite appena scritto:
deve essere un punto di accumulazione per il dominio della funzione f.
Cosa indica la scrittura
Significa che consideriamo valori di x sempre più vicini al punto e che, man mano che i valori di x si avvicinano ad , stiamo considerando le corrispondenti valutazioni f(x).
Obiezione:
non si fa prima a calcolare direttamente la valutazione della funzione nel punto, cioè Dipende,
ma in generale la risposta è no.
Da un lato dobbiamo ricordare ciò che abbiamo detto nella lezione introduttiva:
il passaggio al limite fornisce un risultato che esprime il valore a cui tende la funzione in prossimità del punto, il che non necessariamente coincide con il valore assunto dalla funzione nel punto.
Inoltre,
in accordo con la condizione che abbiamo premesso,
deve essere un punto di accumulazione per il dominio della funzione:
ciò significa che
può appartenere come non appartenere al dominio,
e dunque la funzione potrebbe non essere ivi valutabile.
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Esempio 1
Anche se (per ora) non sapreste giustificarlo, sappiate che
e che calcolare tale limite equivale a valutare la funzione nel punto x = -2, vale a dire f(-2) = 4
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Esempio 2
Sempre sulla fiducia:
Tale limite vale zero.
Riuscite a calcolare la valutazione della funzione nel punto x = 0?
Assolutamente no,
perché il logaritmo naturale non è definito in zero.
Torniamo a noi. Quando abbiamo un limite del tipo:
sappiamo che il significato intuitivo è quello di effettuare valutazioni di f(x) immaginando che x si avvicini via via al punto , sia arrivando da sinistra che da destra di .
Ricordatevi sempre che nella pratica sarà uno valore specifico, ad esempio 3, -6, 1, 11121…
In sintesi:
a cosa serve la nozione di limite finito per x tendente a un valore finito ?
Serve a studiare il comportamento della funzione man mano che si considerano ascisse sempre più vicine a .
Più precisamente,
serve a calcolare il valore a cui tendono i valori assunti dalla funzione man mano che le ascisse si avvicinano a , e lo consente indipendentemente che la funzione sia definita o non definita in .
L’unica richiesta è che
sia un punto di accumulazione per il dominio della funzione,
in modo che sia effettivamente possibile considerare ascisse sempre più vicine a .
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Definizione di limite finito per x tendente a un valore finito
Consideriamo una funzione , dall’espressione analitica y = f(x),
e
sia un punto di accumulazione per il dominio della funzione.
Diciamo che
la funzione f(x) tende al valore c al tendere di x a ,
e scriviamo:
se, comunque si sceglie un valoreε > 0 ,
esiste un valoreδ > 0 dipendente dal ε scelto,
tale che comunque si consideri in modo che
ne consegue che
In simboli:
In questo frangente si suole dire che al tendere di la funzione converge al valore c.
Se avete letto questa definizione tre o quattro volte e siete alle prime armi, vi leviamo subito dall’imbarazzo: è normale che non ci abbiate capito nulla.
Che ne dite di passare ad analizzarla nel dettaglio?
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Analisi della definizione di limite finito per x tendente a un valore finito
Analizziamo la definizione parola per parola, scomponendola in varie parti e commentandola.
Il limite per x che tende ad , punto di accumulazione per , di f(x) vale c.
… se, comunque si sceglie un valore ε>0…
Il valore ε è arbitrario e va inteso come un valore “piccolo a piacere”.
È un parametro che usiamo per controllare la distanza sulle ordinate y,
cioè sui valori assunti dalla funzione f.
Iniziamo quindi con lo scegliere un valore ε positivo e a piacere.
… esiste un valore δ > 0, dipendente dal ε scelto …
L’esistenza del limite finito per x tendente al valore finito è vincolata all’esistenza di un valore δ da intendersi “piccolo” e che qui non è preso a caso, perché viene determinato dal ε inizialmente scelto.
Attenzione:
la proprietà che richiede la definizione è che a una scelta libera di ε corrisponda in automatico un valore δ dipendente da ε scelto.
Che ce ne facciamo del δ?
Ci servirà per controllare la distanza tra le ascisse.
… tale che comunque si consideri in modo che …
Ora stiamo dicendo che, comunque prendiamo un’ascissa con una distanza da minore del δ ottenuto in precedenza…
… ne consegue che .
… allora avremo un’ordinata f(x), corrispondente a quella x, che disterà dal valore c meno di ε.
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Riassumiamo il tutto.
Diciamo che c, valore finito, è il limite per di f(x) se comunque scegliamo una distanza ε esiste una distanza δ, vincolata da ε, per la quale comunque scegliamo una
distante da meno di δ, allora l’ordinata f(x) dista da c meno di ε.
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Analisi grafica della definizione di limite finito per x tendente a un valore finito
Ecco come si presenta la situazione con un esempio grafico.
Il processo logico per la definizione di limite finito per si basa sui seguenti passaggi:
-
comunque consideriamo una distanza di controllo delle ordinate
-
otteniamo una corrispondente distanza di controllo sulle ascisse, per la quale
-
comunque prendiamo una entro la distanza di controllo delle ascisse rispetto al punto e diversa da
-
otteniamo un’immagine f(x) entro la distanza di controllo delle ordinate rispetto al valore c.
Se la definizione viene soddisfatta, allora scriviamo
e diciamo che quando .
Notate in particolare che:
– nella definizione le distanze compaiono con il valore assoluto perché la x può trovarsi sia a sinistra che a destra di , e il valore f(x) può trovarsi sia sopra che sotto c;
– comunque scegliamo x in modo tale che , non possiamo scegliere
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Definizione equivalente di limite finito per x tendente a un valore finito con gli intorni
Tranquilli, qui non aggiungiamo nulla. 😉
Vogliamo solo proporvi una formulazione equivalente della definizione facendo uso della nozione di intorno di un punto.
Sia un punto di accumulazione per .
Diciamo che per
se, comunque scegliamo ε > 0, esiste un per cui, comunque si scelga nell’intorno bucato con centro e raggio δ, ne consegue che f(x) appartiene all’intorno con centro c e raggio ε.
Ancora!
La stessa definizione scritta con le notazioni simboliche degli intorni.
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Esempio di verifica di un limite con la definizione
Passiamo dalla teoria alla pratica e prendiamo confidenza con la definizione, usandola per verificare la validità di un limite finito per x tendente a un valore finito.
Vogliamo verificare che:
Intanto notiamo che
la funzione ha come dominio
e che
x = 1 è un punto di accumulazione per .
Comunque scegliamo un valoreε > 0, esiste un corrispondente δ che soddisfa la definizione?
Ricordiamo che il δ dipenderà da ε, per questo si è soliti scrivere δ(ε).
Per vederlo,
imponiamo la disequazione finale .
che si traduce in
Passiamo al denominatore comune
scomponiamo il numeratore con la regola del quadrato di un binomio e, tenendo presente la condizione , semplifichiamo
Ricordando che il valore assoluto è nullo se e solo se l’argomento è nullo, possiamo riassumere la precedente condizione nella forma:
Cosa abbiamo fatto?
Abbiamo imposto la condizione finale, sulle ordinate, della definizione di limite
e l’abbiamo rimaneggiata per dedurne una condizione sulle ascisse.
Cosa abbiamo scoperto?
Comunque scegliamo ε, esiste un corrispondente δ che rende vera la proprietà richiesta nella definizione: basta prendere δ = ε.
Gli altri tre casi, di cui abbiamo accennato nell’articolo introduttivo, verranno presentati nelle lezioni successive;
più avanti forniremo inoltre un’ulteriore condizione per il limite finito al finito introducendo i concetti di limite da destra e limite da sinistra.
Per chi se lo stesse domandando, sappiate che nel prosieguo delle lezioni presenteremo delle tecniche di calcolo dei limiti che non richiederanno di usare le definizioni.
Vale la solita regola: non abbiate la pretesa di capire tutto e subito.
Il più delle volte non si riesce a capire un concetto perché ci si distrae pensando ai suoi utilizzi, oppure perché si vuole arrivare subito al traguardo: non è così che funziona.
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Tag: Definizione di limite finito per x tendente a un valore finito
Salvatore Di Lucia
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“Se mi sento triste, faccio matematica per essere felice. Se sono felice, faccio matematica per restare felice.”
(Alfréd Rényi)
Cosa sono i limiti di funzioni?
Questa lezione si propone un semplice obiettivo:
mostrare, mediante una spiegazione informale e poco rigorosa,
come
i limiti non siano altro che un nuovo tipo di operazione.
Cercheremo di spiegare come
l’operazione di passaggio al limite fornisce informazioni sul comportamento di una funzione nell’intorno di un punto,
anche e soprattutto
per particolari tipi di punti in cui la funzione non è definita.
Il limite di una funzione è un operatore che permette di studiare il comportamento di una funzione nell’intorno di un punto, e grazie al quale possiamo stabilire a che valore tende la funzione man mano che la variabile indipendente si avvicina a quel punto.
Indice
-
Il concetto di limite di una funzione
-
Due esempi che inducono a definire il concetto di limite
-
Cos’è il limite di una funzione e a cosa serve
-
Domande preliminari sul concetto di limite di una funzione
1.) Il concetto di limite di una funzione
Lo ribadiamo a scanso di equivoci:
qui non daremo alcuna definizione rigorosa
(lo faremo nelle lezioni successive),
perché ci interessa spiegare in cosa consiste
il concetto di limite di una funzione reale ad una variabile reale.
Studiando le nozioni relative alle funzioni, abbiamo introdotto tra le altre quella di dominio e abbiamo visto che
ogni funzione è caratterizzata da un insieme di punti in cui è definita:
Non ci siamo mai posti particolari problemi.
Avendo una funzione, abbiamo sempre distinto tra i punti in cui essa è definita e i punti in cui non è definita.
Se ha senso calcolare la valutazione y=f(x);
se non ha senso calcolare la valutazione y = f(x) perché è priva di significato.
Questa analisi è corretta,
ma nella vita di un matematico giunge sempre il momento di ampliare i propri orizzonti.
A noi interessa trasmettere prima di tutto l’utilità dello studio della Matematica,
piuttosto che propinare ai lettori una trafila di nozioni apparentemente sterili.
Dunque, prima di spiegare il concetto di limite, vogliamo mostrare un paio di esempi in cui nasce l’esigenza di espandere il bagaglio di strumenti dell’Analisi Matematica.
2.) Due esempi che inducono a definire il concetto di limite
Consideriamo una funzionedefinita su un dominio, e supponiamo che sia della forma:
Come facciamo a sapere come si comporta la funzione nei punti di frontiera del dominio?
L’insieme dei punti di frontiera (o più brevemente frontiera) in questo caso è
In accordo con le notazioni degli intervalli, per i punti non c’è alcun problema, perché essi appartengono al dominio della funzione f(x) e possiamo procedere con valutazioni dirette.
Possiamo cioè calcolare .
Ma come facciamo a sapere qual è il comportamento della funzione in prossimità dei punti di frontiera del dominio in cui non è definita, ossia
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Esempio 2
Se avessimo una funzione definita sull’intero asse reale:
come potremmo conoscerne il comportamento all’infinito?
Certo, potremmo metterci a calcolare infinite valutazioni per valori crescenti (+∞) o per valori decrescenti (-∞) , ma non sarebbe molto pratico!
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Cos’è il limite di una funzione e a cosa serve
Entrambi gli esempi rendono l’idea del motivo che porta a definire la nozione di limite:
studiare il comportamento di una funzione
in prossimità di un certo tipo di punti in cui non è definita.
Il bello è che l’operazione di passaggio al limite che definiremo nelle lezioni successive non si limita a esaudire questa esigenza, bensì permette all’Analisi Matematica di raggiungere profondità abissali.
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Cos’è, dunque?
L’operazione di passaggio al limite è una vera e propria operazione che ha come entrate due elementi:
una funzione f(x) e il punto in prossimità del quale vogliamo studiarne il comportamento.
In Matematica l’operazione di passaggio al limite si scrive nel modo seguente:
e si legge:
limite per x che tende a “x-con-zero” di f(x).
f(x) è la funzione di cui vogliamo conoscere il comportamento, mentre è il punto in cui vogliamo calcolare il limite.
può essere un valore reale,
ma in accordo con le definizioni che forniremo potrà essere anche
+∞ oppure -∞ (che non sono valori reali).
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A cosa serve?
L’operazione di passaggio al limite per una funzione f(x) al tendere di
permette di analizzare il comportamento di f(x) man mano che si considerano valori di x che si avvicinano a
Inoltre,
nelle ipotesi per cui tale operazione risulterà lecita, essa restituirà un valore finito o infinito come risultato.
Il risultato del limite avrà il potere di dirci come si comporta la funzione f(x) quando i valori della variabile x si avvicinano a .
In altri termini,
il risultato del limite ci dirà a quale valore tendono le valutazioni di f(x) man mano che x si avvicina a .
È per questo motivo che l’operazione di passaggio al limite si legge
limite per x che tende a “x-con-zero”
e
non limite per x uguale a “x-con-zero”.
°°°°°
Il senso dell’operazione di passaggio al limite non consiste nel valutare la funzione in un punto, bensì nell’individuare il valore a cui la funzione si avvicina man mano che x tende a .
Attenzione:
abbiamo scritto
il valore a cui si avvicina,
che
non è necessariamente un valore che assume.
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Domande preliminari sul concetto di limite di una funzione
Siamo consapevoli che senza definizioni il discorso può sembrare un po’ fumoso.
Tempo al tempo, vi abbiamo solo servito un antipasto.
I più curiosi potrebbero essersi già posti alcune domande preliminari, per le quali anticipiamo una risposta che verrà giustificata ampiamente nel prosieguo delle lezioni.
1.) A quali punti dell’asse reale possiamo far tendere x per calcolare il limite di una funzione?
Risposta:
può essere un qualsiasi valore reale e può anche essere più infinito o meno infinito, a patto che sia un punto di accumulazione per il dominio della funzione.
2.) Quali risultati può restituire l’operazione di limite?
Risposta:
la particolarità dei limiti di funzioni è che possono restituire come risultato sia un numero reale che ±∞.
3.) Quante definizioni servono per fornire una panoramica rigorosa e completa sull’operazione di passaggio al limite? In altri termini, con quali tipi di limite possiamo avere a che fare?
Risposta:
esistono quattro tipi di limiti.
Limite per x che tende a un valore finito e con risultato finito.
Limite per x che tende a un valore finito e con risultato infinito.
Limite per x che tende a infinito e con risultato finito.
Limite per x che tende a infinito e con risultato infinito.
Potete trovare definizioni rigorose, esempi e ulteriori spiegazioni per ciascun tipo di limite nelle lezioni successive. A meno che stiate ripassando, vi suggeriamo la semplice lettura sequenziale:
-
Limite finito per x tendente a un valore finito
-
Limite infinito per x tendente a un valore finito
-
Limite finito per x tendente all’infinito
-
Limite infinito per x tendente all’infinito
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Tag: Cosa sono i limiti di funzioni?
Salvatore Di Lucia
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“Se mi sento triste, faccio matematica per essere felice. Se sono felice, faccio matematica per restare felice.”
(Alfréd Rényi)
Il concetto di limite di una funzione
qui non daremo alcuna definizione rigorosa (lo faremo nelle lezioni successive), perché ci interessa spiegare in cosa consiste il concetto di limite di
una funzione reale ad una variabile reale.
Studiando le nozioni relative alle funzioni, abbiamo introdotto tra le altre quella di dominio e abbiamo visto che ogni funzione è caratterizzata da un insieme di punti in cui è definita:
Non ci siamo mai posti particolari problemi.
Avendo una funzione, abbiamo sempre distinto tra
i punti in cui essa è definita
e
i punti in cui non è definita.
Se ha senso calcolare la valutazione ;
se , la valutazione è priva di significato.
Questa analisi è corretta,
ma nella vita di un matematico giunge sempre il momento di ampliare i propri orizzonti.
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A noi interessa trasmettere prima di tutto l’utilità dello studio della Matematica, piuttosto che propinare ai lettori una trafila di nozioni apparentemente sterili.
Dunque, prima di spiegare il concetto di limite, vogliamo mostrare un paio di esempi in cui nasce l’esigenza di espandere il bagaglio di strumenti dell’Analisi Matematica.
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Due esempi che inducono a definire il concetto di limite
Esempio 1
Consideriamo una funzione definita su un dominio , e supponiamo che sia della forma:
Come facciamo a sapere come si comporta la funzione nei punti di frontiera del dominio?
L’insieme dei punti di frontiera (o più brevemente frontiera) in questo caso è
In accordo con le notazioni degli intervalli, per i punti non c’è alcun problema, perché essi appartengono al dominio della funzione f(x) e possiamo procedere con valutazioni dirette.
Possiamo cioè calcolare .
Ma come facciamo a sapere qual è il comportamento della funzione in prossimità dei punti di frontiera del dominio in cui non è definita, ossia
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Esempio 2
Se avessimo una funzione definita sull’intero asse reale:
come potremmo conoscerne il comportamento all’infinito?
Certo, potremmo metterci a calcolare infinite valutazioni per valori crescenti (+∞) o per valori decrescenti (-∞) , ma non sarebbe molto pratico!
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Cos’è il limite di una funzione e a cosa serve
Entrambi gli esempi rendono l’idea del motivo che porta a definire la nozione di limite:
studiare il comportamento di una funzione
in prossimità di un certo tipo di punti in cui non è definita.
Il bello è che l’operazione di passaggio al limite che definiremo nelle lezioni successive non si limita a esaudire questa esigenza, bensì permette all’Analisi Matematica di raggiungere profondità abissali.
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Cos’è, dunque?
L’operazione di passaggio al limite è una vera e propria operazione che ha come entrate due elementi:
una funzione f(x) e il punto in prossimità del quale vogliamo studiarne il comportamento.
In Matematica l’operazione di passaggio al limite si scrive nel modo seguente:
e si legge:
limite per x che tende a “x-con-zero” di f(x).
f(x) è la funzione di cui vogliamo conoscere il comportamento, mentre è il punto in cui vogliamo calcolare il limite.
può essere un valore reale,
ma in accordo con le definizioni che forniremo potrà essere anche
+∞ oppure -∞ (che non sono valori reali).
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A cosa serve?
L’operazione di passaggio al limite per una funzione f(x) al tendere di
permette di analizzare il comportamento di f(x) man mano che si considerano valori di x che si avvicinano a
Inoltre,
nelle ipotesi per cui tale operazione risulterà lecita, essa restituirà un valore finito o infinito come risultato.
Il risultato del limite avrà il potere di dirci come si comporta la funzione f(x) quando i valori della variabile x si avvicinano a .
In altri termini,
il risultato del limite ci dirà a quale valore tendono le valutazioni di f(x) man mano che x si avvicina a .
È per questo motivo che l’operazione di passaggio al limite si legge
limite per x che tende a “x-con-zero”
e
non limite per x uguale a “x-con-zero”.
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Il senso dell’operazione di passaggio al limite non consiste nel valutare la funzione in un punto, bensì nell’individuare il valore a cui la funzione si avvicina man mano che x tende a .
Attenzione:
abbiamo scritto
il valore a cui si avvicina,
che
non è necessariamente un valore che assume.
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Domande preliminari sul concetto di limite di una funzione
Siamo consapevoli che senza definizioni il discorso può sembrare un po’ fumoso.
Tempo al tempo, vi abbiamo solo servito un antipasto.
I più curiosi potrebbero essersi già posti alcune domande preliminari, per le quali anticipiamo una risposta che verrà giustificata ampiamente nel prosieguo delle lezioni.
1.) A quali punti dell’asse reale possiamo far tendere x per calcolare il limite di una funzione?
Risposta:
può essere un qualsiasi valore reale e può anche essere più infinito o meno infinito, a patto che sia un punto di accumulazione per il dominio della funzione.
2.) Quali risultati può restituire l’operazione di limite?
Risposta:
la particolarità dei limiti di funzioni è che possono restituire come risultato sia un numero reale che ±∞.
3.) Quante definizioni servono per fornire una panoramica rigorosa e completa sull’operazione di passaggio al limite? In altri termini, con quali tipi di limite possiamo avere a che fare?
Risposta:
esistono quattro tipi di limiti.
Limite per x che tende a un valore finito e con risultato finito.
Limite per x che tende a un valore finito e con risultato infinito.
Limite per x che tende a infinito e con risultato finito.
Limite per x che tende a infinito e con risultato infinito.
Potete trovare definizioni rigorose, esempi e ulteriori spiegazioni per ciascun tipo di limite nelle lezioni successive. A meno che stiate ripassando, vi suggeriamo la semplice lettura sequenziale:
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Limite finito per x tendente a un valore finito
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Limite infinito per x tendente a un valore finito
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Limite finito per x tendente all’infinito
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Limite infinito per x tendente all’infinito
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I limiti di una funzione sono uno strumento importantissimo in analisi matematica.
Essi servono a capire qual è l’andamento della funzione quando la si avvicina ad un determinato valore.
Spesso è un valore in cui la funzione non esiste in R o comunque ha un comportamento particolare.
Tra le applicazioni dei limiti più importanti si hanno:
• Determinazione degli asintoti di una funzione
• Definizione e calcolo delle derivate
• Determinazione di continuità e discontinuità di una funzione
Per quanto riguarda la definizione,
essa varia a seconda che la tenda ad un valore finito o infinito e cambia anche in relazione al risultato del limite che può essere, pure quello, finito o infinito.
Nelle prossime lezioni, saranno riportate tutte le definizioni dei limiti nei vari casi
Il calcolo del limite si dovrebbe studiare DOPO aver studiato la definizione.
In pratica però è utile sapere come si calcola un limite perché può essere d’aiuto per capire meglio la definizione stessa di limite e anche perché,
salvo le forme indeterminate che si vedranno più avanti,
il calcolo di un limite è molto facile.
Basta sostituire infatti alla della funzione il valore a cui essa tende.
Ecco il perché di questa anticipazione sul calcolo dei limiti che comunque verrà ripreso e sviluppato più diffusamente nei paragrafi che seguono
Sia f una funzione reale di variabile Reale
Sia x_o ∈ R ∪ {-∞, +∞}
Sia l ∈ R ∪ {-∞, +∞}
f : x ∈ X ⊆ R∪{-∞, +∞} → y = f(x) ∈ Y ⊆ R∪{-∞, +∞}
1.)
2.)
3.)
4.)
5.)
6.)
7.)
8.)
9.)
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Limite destro di una funzione
Limite sinistro di una funzione
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Tag: Limiti
Salvatore Di Lucia
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“Se mi sento triste, faccio matematica per essere felice. Se sono felice, faccio matematica per restare felice.”
(Alfréd Rényi)
Funzione limitata e funzione illimitata
Una funzione limitata è una funzione che assume valori limitati tra due numeri reali;
una funzione illimitata è una funzione per cui non è possibile determinare due numeri reali che ne limitino le immagini.
In questa lezione presenteremo un’ulteriore proprietà che caratterizza le funzioni reali di variabile reale: ci riferiamo alla limitatezza delle funzioni. Partendo da alcuni semplici esempi grafici proporremo le definizioni formali, che successivamente rileggeremo per mezzo di ulteriori esempi.
Prima di cominciare lo studio delle funzioni limitate/illimitate premettiamo che è importante avere dimestichezza con la teoria degli insiemi reali.
Idea intuitiva di funzione limitata e illimitata
Per introdurre il concetto di funzione limitata e di funzione illimitata partiamo da un approccio intuitivo e facciamo riferimento ad alcuni esempi grafici.
Consideriamo una funzione
dove denota il dominio della funzione,
mentre l’insieme d’arrivo Cod(f) corrisponde al suo codominio.
Proponiamo tre esempi, ciascuno per un caso specifico:
1.) funzione limitata superiormente;
2.) funzione limitata inferiormente;
3.) funzione limitata.
Esempio di
1.) funzione limitata superiormente
Il nome dice già tutto:
in termini grafici
una funzione è limitata superiormente se esiste almeno una retta parallela all’asse x, dunque di equazione y =k, tale che il grafico della funzione stia interamente al di sotto di essa.
2.) Funzione limitata inferiormente
una funzione è limitata inferiormente se esiste almeno una retta parallela all’asse x, dunque di equazione y =k, tale che il grafico della funzione stia interamente al di sopra di essa.
3.) Funzione limitata
Una funzione limitata è una funzione limitata sia superiormente che inferiormente.
In questo caso possiamo disegnare
due rette parallele all’asse x tali da delimitare il grafico della funzione
Definizioni di funzione limitata o illimitata
Occupiamoci delle definizioni rigorose e passiamo in rassegna tutti i possibili casi relativi alla limitatezza e alla illimitatezza delle funzioni.
Anticipiamo sin da subito che per comprenderle fino in fondo è necessario sapere che cos’è
l’immagine di una funzione
e ricordare
le definizioni di
estremo superiore e inferiore.
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Definizione
(funzione limitata superiormente – funzione illimitata superiormente)
Una funzione si dice limitata superiormente
(o superiormente limitata sul proprio dominio)
se vale almeno una tra le seguenti condizioni, del tutto equivalenti tra loro:
1.) se esiste un numero reale tale che
2.) se l’immagine di f è un insieme limitato superiormente;
3.) se l’immagine di f ammette estremo superiore finito
Al contrario diremo che
°°°°°
Una funzione
è illimitata superiormente
(o illimitata superiormente sul proprio dominio)
se vale una tra le seguenti condizioni equivalenti:
1.) se esiste almeno un tale che
2.) se l’immagine di f è un insieme illimitato superiormente;
3.) se l’immagine di f ammette estremo superiore infinito
°°°°°
Definizione
(funzione limitata inferiormente – funzione illimitata inferiormente)
Una funzione si dice limitata inferiormente
(o inferiormente limitata sul proprio dominio)
se vale almeno una tra le seguenti condizioni, del tutto equivalenti tra loro:
1.) se esiste un numero reale tale che
2.) se l’immagine di f è un insieme limitato inferiormente;
3.) se l’immagine di f ammette estremo inferiore finito
Al contrario diremo che
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Una funzione
è illimitata inferiormente
(o illimitata inferiormente sul proprio dominio)
se vale una tra le seguenti condizioni equivalenti:
1.) se esiste almeno un tale che
2.) se l’immagine di f è un insieme illimitato inferiormente;
3.) se l’immagine di f ammette estremo inferiore -infinito
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Definizione
(funzione limitata – funzione illimitata)
Una funzione si dice limitata
(o limitata sul proprio dominio)
se è limitata inferiormente e superiormente.
Al contrario diremo che
°°°°°
Una funzione
è illimitata
(o illimitata sul proprio dominio)
se è illimitata inferiormente e superiormente.
°°°°°
Funzione limitata e funzione illimitata su un intervallo
Ok: abbiamo scritto una lunga trafila di definizioni, e se non vi siete fatti spaventare dalle condizioni equivalenti avrete notato che non c’è nulla di particolarmente complicato.
Fino a qui abbiamo parlato di limitatezza e illimitatezza delle funzioni senza alcuna ulteriore specificazione, ed intendendo con ciò che le proprietà hanno natura globale
(sul dominio della funzione).
Nulla vieta di enunciare definizioni meno stringenti e di analizzare
la limitatezza e l’illimitatezza di una funzione su un intervallo.
Evitiamo di propinarvi un ulteriore elenco di definizioni:
molto meglio capire come specificare le precedenti restringendo le proprietà ad un intervallo contenuto nel dominio.
A titolo di esempio,
possiamo dire che
una funzione è limitata superiormente sull’intervallo se vale almeno una tra le seguenti condizioni, del tutto equivalenti tra loro:
1.) se esiste un numero reale tale che
2.) se l’immagine dell’intervallo I mediante f è un insieme limitato superiormente;
3.) se l’immagine dell’intervallo I mediante f ammette estremo superiore finito
Le definizioni possono essere contestualizzate facilmente, non trovate?
Esempi di funzioni limitate e funzioni illimitate
Cerchiamo di digerire le precedenti definizioni mediante alcuni esempi.
Come noterete tra un istante tutto ruota attorno all’immagine della funzione:
le definizioni di limitatezza e illimitatezza traspongono infatti il concetto di limitatezza/illimitatezza di un insieme e lo estendono alle funzioni facendo riferimento all’insieme immagine.
In altre parole
la limitatezza/illimitatezza di una funzione non è altro che una particolarizzazione della nozione di limitatezza/illimitatezza di un insieme.
1) Consideriamo la funzione seno
Quali sono dominio e immagine di tale funzione?
Le immagini della funzione sono comprese nell’intervallo , quindi
l’insieme delle immagini è limitato sia superiormente che inferiormente,
dunque
la funzione seno è limitata.
Graficamente si vede bene come sia possibile racchiudere il grafico nella porzione di piano compresa tra le rette y = -1 e y = +1, o se preferite tra le rette y = -5000 e y = 120 .
Per avere una funzione limitata non importa quali siano i valori di ordinate che ne limitano le immagini: basta che esistano!
2) Consideriamo la funzione logaritmica
Come nell’esempio precedente ci chiediamo quale sottoinsieme dei numeri reali contenga le immagini della funzione logaritmo.
Sappiamo che per definizione il logaritmo ha dominio e immagine dati da
Poiché
l’immagine della funzione è un insieme illimitato sia superiormente che inferiormente,
si capisce subito che essa è una funzione illimitata.
Non fatevi trarre in inganno dalla lenta crescita della funzione per ascisse crescenti:
la proiezione ortogonale del grafico della funzione sull’asse y lo copre interamente,
per cui
la funzione non è limitata né superiormente, né inferiormente.
3) Consideriamo ora la funzione esponenziale
e limitiamone il dominio a
Con questa restrizione otteniamo
una funzione limitata sia superiormente che inferiormente,
infatti
Partendo dal grafico dell’esponenziale e applicando la restrizione del dominio si vede che
l’estremo inferiore delle immagini continua ad essere y = 0,
mentre
l’estremo superiore diventa y = 1
(attenzione perché l’estremo x = 0 è escluso dal dominio).
Osservazione
(limitatezza ed esistenza di un massimo / minimo per l’immagine)
Nella lezione su estremo superiore e estremo inferiore abbiamo definito i concetti di massimo e minimo di un insieme, e rileggendo le precedenti definizioni di funzione limitata vi accorgerete subito che non ne abbiamo fatto alcuna menzione.
Affermare che
una funzione è limitata superiormente se la sua immagine ammette un massimo,
come pure dire che
una funzione è limitata inferiormente se la sua immagine ammette un minimo,
è certamente corretto ma non può essere presentata come definizione.
L’ultimo esempio mette in luce che
una funzione può essere limitata inferiormente e/o superiormente senza che l’immagine ammetta un minimo e/o un massimo.
Da un lato
una funzione con immagine che ammette minimo e/o massimo è certamente limitata inferiormente e/o superiormente;
di contro ciò non è necessario,
tant’è che
esistono funzioni la cui immagine non ammette minimo e/o massimo ma che sono limitate inferiormente e/o superiormente.
In sintesi:
sono
l’estremo inferiore e l’estremo superiore che sanciscono nel modo più generale possibile la limitatezza e l’illimitatezza di una funzione;
l’esistenza di un minimo e/o di un massimo è una condizione sufficiente ma non necessaria per la limitatezza inferiore e/o superiore di una funzione.
Come stabilire se una funzione è limitata o illimitata
Arriviamo al nocciolo della pratica, ma sappiate che siamo costretti a deludervi.
Per stabilire se una funzione è limitata o illimitata possiamo disporre di uno tra i seguenti dati:
grafico della funzione oppure la sua espressione analitica.
Nel primo caso è facile:
in accordo con le definizioni basta stabilire se esistono due rette parallele all’asse x e tali da limitare il grafico inferiormente e superiormente.
Disponendo
dell’espressione analitica della funzione potremmo pensare di armarci di buona volontà e verificare la definizione a mano, il che in generale si tradurrebbe in disequazioni piuttosto complicate.
Purtroppo (o per fortuna) l’unico vero
metodo per studiare la limitatezza di una funzione presuppone
di conoscere la teoria delle derivate
e
di saper studiare la monotonia di una funzione.
Prima di arrivarci ci vorrà un bel po’ di lavoro… Ma non abbattetevi: tempo al tempo!
Operazioni tra funzioni limitate
Per concludere riportiamo le principali proprietà che riguardano
le operazioni tra funzioni limitate.
Consideriamo due funzioni f(x) e g(x) definite su un insieme A.
Se entrambe sono funzioni limitate su A valgono le seguenti affermazioni.
1) La funzione somma y = f(x)+g(x) è una funzione limitata su A.
2) La funzione prodotto per una costante c∈R definita da y = c·f(x) è una funzione limitata su A.
Questa proposizione continua a valere anche e soprattutto nel caso in cui c = 0 per il quale otteniamo la funzione identicamente nulla.
Per c = 1 otteniamo un ulteriore caso notevole:
la funzione opposta y = -f(x) è una funzione limitata su A.
3) La funzione prodotto y = f(x)·g(x) è una funzione limitata su A.
4) La funzione rapporto y = f(x)/g(x) è una funzione limitata su A a patto che g(x) non sia mai nulla in A.
Se il denominatore si annulla per almeno un elemento x∈A non possiamo dedurre alcuna informazione senza un’indagine ulteriore.
Nota:
la funzione reciproca è un caso particolare che rientra nella proprietà relativa al rapporto di funzioni.
5) Oltre alle proprietà elencate, esiste un’ulteriore proprietà che riguarda
la composizione di funzioni.
Supponiamo che sussistano le condizioni per comporre le funzioni f(x) e g(x) così che si possa definire la funzione composta y = g(f(x)).
Se le funzioni f(x) e g(x) sono limitate nei rispettivi domini allora la funzione composta
y = g(f(x)) è una funzione limitata sull’insieme di definizione.
Ancor più in generale,
è sufficiente che sia limitata la funzione esterna affinché valga la limitatezza della funzione composta.
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Funzione convessa, funzione concava
Una funzione convessa è tale se il segmento che congiunge due punti qualsiasi del suo grafico giace al di sopra il grafico o coincide con una sua parte.
Una funzione concava è tale se il segmento che congiunge due punti qualsiasi del suo grafico giace al di sotto del grafico o coincide con una sua parte.
La protagonista di questa lezione è
la nozione di convessità e concavità di una funzione.
Qui di seguito daremo la definizione di funzione convessa e di funzione concava su un intervallo, ne spiegheremo il significato geometrico nel dettaglio e mostreremo diversi esempi.
Fatto ciò elencheremo le principali proprietà che caratterizzano
le funzioni convesse e le funzioni concave.
Nel caso in cui foste interessati ai criteri che permetto di studiare la convessità e la concavità di una funzione vi invitiamo a leggere la lezione relativa ai
teoremi sulla derivata seconda,
convessità e concavità,
che però prevede di avere piena dimestichezza con la teoria delle derivate.
Funzioni convesse e funzioni concave
Partiamo dalla definizione di funzione convessa su un intervallo.
Definizione di funzione convessa
Una funzione f(x) definita su un intervallo I si dice funzione convessa
(oppure funzione debolmente convessa)
sull’intervallo I
se, comunque si considerino due punti nell’intervallo con , risulta che
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Diremo invece che f(x) è una funzione strettamente convessa
(oppure convessa in senso forte)
sull’intervallo I se e solo se sussiste la disuguaglianza stretta
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Definizione di funzione concava
Una funzione f(x) definita su un intervallo I è una funzione concava
(oppure funzione debolmente concava)
sull’intervallo I se,
comunque si considerino due punti nell’intervallo I, è verificata la condizione
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Diremo invece che f(x) è una funzione strettamente concava
(oppure funzione concava in senso forte)
se e solo se sussiste la disuguaglianza stretta
°°°°°
A proposito dei nomi
Molto (troppo) spesso alle scuole superiori si predilige una nomenclatura diversa e meno rigorosa rispetto a quella appena vista, e si parla di:
– concavità verso l’alto per indicare la convessità di una funzione;
– concavità verso il basso per indicare la concavità di una funzione.
Riteniamo opportuno suggerirvi di abbandonare al più presto tale nomenclatura e sostituirla con quella standard.
Eviterete di confondervi le idee inutilmente.
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Interpretazione geometrica di funzione convessa e funzione concava
Ad una prima lettura le definizioni di funzione convessa e di funzione concava sono difficili da comprendere a causa delle numerose ripetizioni del parametro t.
Le definizioni in realtà nascondo abbastanza bene una proprietà geometrica molto più semplice da assimilare, la quale si basa sulla posizione reciproca tra il grafico della funzione e il segmento che congiunge due punti del grafico.
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Significato geometrico di funzione convessa
Dal punto di vista geometrico,
una funzione f(x) è convessa su un intervallo se e solo se ogni coppia di punti del grafico della funzione è congiunta mediante un segmento che sta al di sopra o oppure coincide con una parte del grafico.
Esempio di funzione convessa.
Analizziamo con molta attenzione
la posizione reciproca del grafico della funzione (in blu)
e
del segmento che congiunge i punti (in rosso):
il segmento giace punto per punto ad una quota maggiore rispetto al grafico di f(x).
Capire qual è il legame tra la definizione analitica e il significato geometrico della convessità non è difficile.
Se consideriamo due punti di ascisse , l’espressione
descrive al variare di tutte e sole le ascisse comprese tra .
Tale espressione parametrica prende il nome di
combinazione convessa dei valori .
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Se consideriamo le valutazioni della funzione ,
la combinazione convessa
descrive al variare di tutte e sole le ordinate comprese tra .
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Più in generale ricordando
le formule che descrivono la parametrizzazione di un segmento nel piano cartesiano, che possono essere dedotte facilmente mediante le formule analitiche della retta, possiamo descrivere il segmento che congiunge i punti individuandone i punti in forma parametrica
Fissato le coordinate cartesiane appena scritte individuano un punto ben preciso sul segmento.
Se ci concentriamo sull’ascissa possiamo considerare la valutazione mediante la funzione f
e il corrispondente punto sul grafico di f(x)
Entrambi i punti hanno la stessa ascissa.
Abbiamo finito: poiché la definizione di funzione convessa impone la condizione
si capisce che in termini geometrici a parità di ascissa l’ordinata del punto sul grafico di f deve essere minore o al più uguale rispetto all’ordinata sul segmento.
In accordo con la definizione,
affinché la funzione sia convessa ciò deve accadere per ogni e per ogni, ossia deve sussistere la relazione:
e dunque qualsiasi segmento con estremi deve sovrastare il grafico della funzione, o al più coincidere con esso, comunque si scelgono .
In conclusione
la definizione analitica e quella geometrica sono del tutto equivalenti.
Significato geometrico di funzione concava
Con un ragionamento del tutto analogo al precedente si intuisce facilmente il significato geometrico della concavità di una funzione:
comunque si scelgano nell’intervallo I, il segmento che congiunge i punti
deve sottostare al grafico della funzione.
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Esempi di funzioni convesse e di funzioni concave
Dopo aver fornito le definizioni e analizzato l’interpretazione geometrica, è giunto il momento di fornire alcuni
esempi di funzioni convesse e di funzioni concave.
1) La funzione valore assoluto
è una funzione convessa in R.
Comunque consideriamo due punti del grafico, congiungendoli mediante un segmento ci accorgiamo che esso sta al di sopra del grafico della funzione oppure coincide con una sua parte.
2) La funzione logaritmica
è una funzione concava nel suo dominio, infatti se consideriamo due punti qualsiasi del grafico e li congiungiamo con un segmento, quest’ultimo giace al di sotto del grafico stesso.
3) La funzione identità
è una funzione sia concava e sia convessa su R.
Se congiungiamo due punti del grafico della funzione mediante un segmento ci accorgiamo che esso coincide puntualmente con una parte del grafico,
pertanto valgono contemporaneamente sia la definizione di funzione convessa sia la definizione di funzione concava.
Dall’esempio si capisce immediatamente che
qualsiasi funzione lineare è sia convessa, sia concava.
Proprietà delle funzioni convesse e delle funzioni concave
Passiamo ad elencare le proprietà notevoli delle funzioni convesse e di quelle concave, vale a dire le proprietà che legano la nozione di convessità/concavità alle operazioni tra funzioni.
Esse possono rivelarsi utili nel momento in cui le funzioni di cui si vuole studiare la concavità e la convessità presentano espressioni analitiche molto elaborate.
Proprietà fondamentale
La proprietà fondamentale mette in evidenza lo stretto legame che sussiste tra il concetto di concavità e quello di convessità e stabilisce che
una funzione è convessa su un intervallo se e solo se
la funzione opposta è concava sullo stesso intervallo,
e viceversa.
In termini matematici
f(x) è una funzione convessa su un intervallo I
se e solo se
-f(x) è una funzione concava su I,
e viceversa.
La somma di funzioni convesse è convessa;
la somma di funzioni concave è concava
Se f(x) e g(x) sono funzioni convesse su un intervallo I
allora
la funzione somma h(x) = f(x)+g(x) è una funzione convessa sull’intervallo I.
Attenzione:
nulla si può dire a priori sulla differenza di funzioni convesse.
Esistono funzioni convesse la cui differenza è convessa,
ad esempio
sono entrambe funzioni convesse su tutto l’asse reale ma si può dimostrare che
la funzione non è convessa su R.
Quanto appena scritto vale, con le dovute modifiche del caso, per le funzioni concave.
Prodotto tra una costante e una funzione convessa
Prodotto tra una costante e una funzione concava
Se
f(x è una funzione convessa (rispettivamente concava) su un intervallo I e c è una costante non negativa,
allora
la funzione h(x) = c·f(x) è una funzione convessa (rispettivamente concava) su I.
Nel caso in cui la costante c sia negativa si ha un’inversione, e ne consegue che
h(x) è una funzione concava (rispettivamente convessa) su I.
°°°°°
Condizioni di concavità e convessità sulla composizione di funzioni
Se f(x) e g(x) sono funzioni convesse su un intervallo I
e inoltre
g(x) è anche una funzione crescente in I,
allora
la funzione composta h(x) = g(f(x)) è convessa su I.
Se f(x) è una funzione concava e g(x) è una funzione convessa e crescente su un intervallo I
allora
la funzione composta h(x) = g(f(x)) è convessa su I.
La lezione è giunta al termine.
Per chiudere in bellezza segnaliamo un approfondimento (molto avanzato!) in cui parliamo di
funzioni pseudo-convesse e quasi-convesse.
°°°°°
Tag: Funzione concava, Funzione convessa, funzione illimitata, funzione limitata, funzione pseudo-concava, Funzione pseudo-convessa, Funzione quasi-convessa
Salvatore Di Lucia
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“Se mi sento triste, faccio matematica per essere felice. Se sono felice, faccio matematica per restare felice.”
(Alfréd Rényi)
Funzione composta
La funzione composta è una funzione che si ottiene mediante l’operazione di composizione di due funzioni.
In sintesi
la funzione composta si definisce applicando la seconda funzione alle immagini della prima.
Tra le varie operazioni tra funzioni abbiamo introdotto
la composizione di funzioni:
lo scopo di questa lezione prevede di definire
la nozione di funzione composta e di spiegare
come si calcola la composizione di due o più funzioni reali.
Com’è definita la funzione composta
Consideriamo due funzioni
Non preoccupatevi se abbiamo indicato
la seconda funzione come z = g(y).
Inizialmente preferiamo indicare la variabile indipendente e
l’espressione analitica della seconda funzione con nomi diversi, onde evitare spiacevoli confusioni.
Nella fattispecie chiamiamo
y il valore che la funzione f associa ad un generico valore x
e
z il valore che la funzione g associa ad un generico valore y.
Avete notato che abbiamo indicato
con y l’immagine di x mediante f
e ancora
con y la variabile indipendente della funzione g?
Questa scelta non è casuale e tra un attimo ne sarà chiaro il motivo.
Chiamiamo
il dominio di f
e
il dominio di g:
Ora date un’occhiata alla seguente immagine
che indicano in modo generale come si comportano le funzioni f e g, dove sono definite (da dove partono) e quali sono le loro immagini (dove arrivano). Noi vogliamo definire la funzione composta
che si indica anche con la notazione
e che si legge:
g composto f, o anche g applicata a f, o ancora g dopo f.
Per cominciare vediamo cosa ci suggerisce la scrittura con la quale indichiamo la funzione composta.
La funzione composta h è una funzione con variabile indipendente x, e “parte” dallo stesso “livello” in cui è definita la funzione f.
Attenzione:
abbiamo usato il termine creativo “livello”, che non vuol dire dominio.
Per definire la funzione composta z = h(x) specifichiamo come si deve comportare:
– ad una generica x∈U associa un valore y mediante l’azione di f;
– al valore y = f(x) viene applicata l’azione di g,
e quindi
il valore y appena individuato viene mandato in un valore z mediante l’azione della funzione g.
Cerchiamo di visualizzare il comportamento (la definizione) della funzione composta mediante uno schema grafico:
Repetita iuvant:
dato un valore x, la funzione manda prima x in y mediante f e successivamente associa a tale y un valore z mediante g.
Questo è per definizione il comportamento della funzione composta , ma come possiamo scrivere la definizione in modo formale e rigoroso?
Definizione di funzione composta
Date due funzioni
dove definiamo la funzione composta come la funzione
definita da
dove il simbolo indica un’uguaglianza per definizione.
Con questa notazione
la funzione f viene detta prima funzione in ordine di composizione, o più brevemente funzione interna,
mentre
la funzione g viene detta seconda funzione in ordine di composizione o più brevemente funzione esterna.
Espressione analitica della funzione composta
Come si individua l’espressione analitica della composizione di due funzioni? Semplicissimo: date
se vogliamo determinare
Nella pratica sostituiremo nell’espressione analitica di x = g(y) l’espressione analitica f(x) in luogo della variabile indipendente y.
Il metodo è implicitamente suggerito dalla notazione
Dominio della funzione composta
Nella definizione appena scritta fila tutto liscio fino al momento in cui si scrive esplicitamente il dominio della funzione composta.
Perché ne abbiamo definito il dominio nella seguente forma?
Il motivo è estremamente semplice e non è frutto di un’imposizione astratta, bensì discende dal comportamento previsto dalla definizione di funzione composta.
Tenendo conto di come si comporta la composizione di funzioni, se decidiamo di comporre due funzioni f e g e dunque calcolare
dobbiamo sicuramente considerare valori di x appartenenti al dominio della funzione interna, dunque x∈Dom(f), in modo che la prima valutazione in ordine di composizione y = f(x) abbia senso.
Non basta.
Poiché y = f(x) è il punto in cui dobbiamo applicare la funzione esterna, dobbiamo necessariamente richiedere che il valore y appartenga al suo dominio, dunque y∈Dom(g) , o in modo del tutto equivalente f(x)∈Dom(g).
Un modo piuttosto elegante per descrivere il dominio della funzione composta, ed equivalente a quello appena descritto, è il seguente:
si considerano gli elementi del dominio della funzione interna le cui immagini appartengono al dominio della funzione esterna.
In questo modo abbiamo una definizione coerente e sensata:
ovviamente per far sì che
abbia senso deve avere un dominio non vuoto
Per determinare il dominio della funzione composta possiamo procedere in due modi equivalenti:
1.) seguire la definizione;
oppure
2.) determinare l’espressione analitica della funzione composta e determinarne il dominio.
Attenzione al secondo metodo:
se decidiamo di calcolare il dominio della funzione composta con il secondo metodo dobbiamo procedere con i piedi di piombo.
Dopo aver sostituito l’espressione della funzione interna nella funzione esterna non dobbiamo effettuare alcuna semplificazione algebrica, perlomeno non prima di aver calcolato il dominio.
In caso contrario rischieremmo di semplificare qualche termine problematico e di annullare eventuali condizioni di esistenza, individuando un insieme più grande rispetto all’effettivo dominio della funzione composta, come mostreremo negli esempi a seguire.
Esempi di funzioni composte
I) Consideriamo le funzioni
La funzione composta è data da
Poiché
la funzione esponenziale ha dominio Dom(f) = R
e
la funzione esterna (retta) ha dominio Dom(g) = R ,
basta osservare che
la funzione interna ha immagine Im(f) = (0, +∞), la quale è contenuta nel dominio della funzione esterna.
In sintesi
Grafico:
II) Consideriamo le funzioni
La funzione composta è data da
Il dominio si individua piuttosto facilmente:
basta osservare l’espressione analitica della funzione composta per capire che
Grafico:
III) Date le funzioni
La funzione composta è
Come spiegato nel paragrafo relativo al dominio, qui non dobbiamo cadere nella tentazione di semplificare l’espressione analitica della funzione.
Prima ne determiniamo il dominio imponendo che i denominatori non si annullino
A questo punto possiamo semplificare l’espressione algebrica con la regola per le frazioni di frazioni
ma non dobbiamo dimenticare che essa va limitata all’insieme di definizione
Grafico:
IV) Consideriamo le funzioni
La funzione composta è data da
Lasciamo a voi l’onere di calcolare il dominio prima e di ricercare successivamente eventuali riscritture più eleganti dell’espressione analitica.
Grafico:
V) Consideriamo le funzioni
La funzione composta è data da
Anche in questo caso prima di cadere nella tentazione di applicare
le proprietà dei logaritmi è essenziale
determinare il dominio della funzione composta.
Nomenclatura avanzata per la composizione di funzioni
Giunti a questo punto dobbiamo fare un ulteriore passo in avanti.
È uso comune da parte di docenti e libri di testo non diversificare i nomi delle variabili dipendenti e indipendenti delle funzioni da comporre.
Più esplicitamente, capita spesso di leggere
– calcolare date y = f(x) e y = g(Ix)
al posto di
– calcolare date y =f(x) e z = g(y)
Niente paura:
se abbiamo capito cos’è la composizione di funzioni e qual è il significato della scrittura ,
allora sappiamo perfettamente
qual è la funzione interna
e
qual é la funzione esterna.
Non dobbiamo fare altro che sostituire l’espressione analitica della funzione interna nell’espressione della funzione esterna, a prescindere dai nomi.
Esempio
Consideriamo le funzioni
La funzione composta è data da
Se invece consideriamo la funzione composta con le stesse funzioni, otteniamo
Come potete vedere la notazione stessa impone un ordine ben preciso.
La composizione di funzioni è un’operazione commutativa?
No.
L’esempio precedente mostra che,
in generale
Composizione con più di due funzioni
Nulla ci vieta di comporre più di due funzioni e a ben vedere questo fatto non dovrebbe sorprenderci.
In particolare possiamo comporre 3, 12 o 480 funzioni seguendo l’ordine indicato dalla notazione di composizione.
Per motivi puramente didattici ci concentriamo sulla
composizione di tre funzioni
Imparando a comporre tre funzioni saremo automaticamente in grado di comporne N.
Come al solito l’importante è capire l’ordine da seguire nella composizione e ricordare che si parte
dalla funzione più interna fino ad arrivare alla funzione più esterna.
Se ad esempio vogliamo calcolare
non dobbiamo fare altro che:
– sostituire l’espressione di h(x) al posto di x nell’espressione di g(x);
– sostituire l’espressione appena trovata g(h(x)) e sostituirla al posto della x nell’espressione di f(x);
– fine, abbiamo individuato l’espressione della funzione composta Anche in questo caso
tutte le eventuali semplificazioni algebriche vanno effettuate alla fine
e non prima di aver determinato il dominio della composizione.
Esempio
La funzione composta è data da
Proprietà della funzione composta
Dopo aver definito la composizione di funzioni e compreso come calcolare il dominio di una funzione composta è giunto il momento di elencare
le principali proprietà analitiche delle funzioni composte,
con particolare riferimento alle proprietà delle funzioni già trattate nelle precedenti lezioni.
Due avvertenze prima di procedere:
– chi è alle prime armi con lo studio della composizione di funzioni può saltare momentaneamente la restante parte della lezione, dal momento che i seguenti risultati teorici verranno ripresi più volte nel prosieguo degli studi in Analisi 1;
– qui di seguito omettiamo le dimostrazioni, le quali possono essere ricavate facilmente dai lettori (non a caso spesso e volentieri vengono proposte dai docenti per esercizio).
Composizione di funzioni iniettive, suriettive, biunivoche
Cominciamo con
l’elenco delle proprietà relative alla composizione di funzioni iniettive, suriettive o biunivoche.
Queste sono proprietà molto utili a livello teorico ma possono rivelarsi dei salva-esame anche nella risoluzione di esercizi in cui sono presenti funzioni dalle espressioni analitiche mastodontiche.
1.) La composizione di funzioni iniettive è iniettiva
Se sono funzioni iniettive sui rispettivi domini allora la funzione composta è una funzione iniettiva sul proprio dominio.
Attenzione: in generale non vale il viceversa.
2.) La composizione di funzioni suriettive è suriettiva
Se sono funzioni suriettive sui rispettivi domini
In generale non vale il viceversa.
3.) La composizione di funzioni biettive è biettiva
Se f)x) e g(x) sono funzioni biettive sui rispettivi domini
allora la funzione composta g(f(x)) è una funzione biettiva.
In generale non vale il viceversa.
Proprio perché la funzione composta è biettiva, segue subito che g(f(x))
ammette la funzione inversa.
Si può dimostrare che la funzione inversa della funzione composta g(f(x))
si ottiene componendo
la funzione inversa di g(x) con la funzione inversa di f(x).
In altri termini sussiste l’elegante relazione
o equivalentemente
4.) Sull’iniettività e sulla suriettività della funzione composta
Se g(f(x)) è una funzione iniettiva allora la funzione interna f(x) è iniettiva.
Se g(f(x)) è suriettiva allora la funzione esterna g(x) è suriettiva.
Dalle due proprietà segue che se la funzione composta g(f(x)) è biettiva allora f(x) è iniettiva e g(x) è suriettiva.
Come per le proposizioni precedenti,
non possiamo dire nulla sulla veridicità delle implicazioni inverse.
5.) Composizione di funzioni pari e dispari
In questo paragrafo supporremo che i domini delle funzioni f(x) e g(x) siano simmetrici rispetto all’origine, in accordo con le definizioni di funzione pari e funzione dispari.
6.) La composizione di funzioni pari è pari
Se f(x) e g(x) sono funzioni pari nei rispettivi domini allora la funzione composta g(f(x)) è una funzione pari sul proprio dominio.
7.) La composizione di funzioni dispari è dispari
Se f(x) e g(x) sono funzioni dispari nei rispettivi domini allora la funzione composta g(f(x)) è una funzione dispari sul proprio dominio.
8.) Composizione tra una funzioni pari e una funzioni dispari
Se f(x) è una funzione pari e g(x) una funzione dispari allora la funzione composta g(f(x)) è una funzione pari.
Se f(x) è una funzione dispari e g(x) una funzione pari allora la funzione composta g(f(x)) è una funzione pari.
9.) Composizione tra una funzione pari e una funzione qualsiasi
Se f(x) è una funzione pari e g(x) una funzione qualsiasi
allora g(f(x)) è una funzione pari.
In tutte le altre situazioni conviene affidarsi alla definizione di funzione pari e dispari per stabilire se una funzione composta sia pari, dispari o ancora nessuna delle due. 😉
10.) Composizione di funzioni monotone
Cosa succede se componiamo tra loro due funzioni monotone?
Rispondiamo a questa domanda proponendo una serie di proposizioni dalle dimostrazioni immediate.
Linee guida per le dimostrazioni:
per ricavare i risultati sulla monotonia della composizione di funzioni basta osservare che la monotonia della funzione interna individua un verso di percorrenza per le preimmagini della funzione esterna:
una funzione interna crescente o non decrescente preserva una percorrenza da sinistra a destra,
una funzione interna decrescente o non crescente inverte la percorrenza (da destra a sinistra).
Il verso di percorrenza sulle preimmagini della funzione esterna permette di giungere alla monotonia della funzione composta semplicemente considerando la monotonia della funzione esterna.
f(x) |
g(x) |
g(f(x)) |
Crescente |
Crescente |
Crescente |
Crescente |
Non decrescente |
Non decrescente |
Crescente |
Decrescente |
Decrescente |
Crescente |
Non crescente |
Non crescente |
Decrescente |
Crescente |
Decrescente |
Decrescente |
Non decrescente |
Non crescente |
Decrescente |
Decrescente |
Crescente |
Decrescente |
Non crescente |
Non decrescente |
Non crescente |
Crescente |
Non crescente |
Non crescente |
Non decrescente |
Non crescente |
Non crescente |
Decrescente |
Non decrescente |
Non crescente |
Non crescente |
Non decrescente |
Non decrescente |
Crescente |
Non decrescente |
Non decrescente |
Non decrescente |
Non decrescente |
Non decrescente |
Decrescente |
Non crescente |
Non decrescente |
Non crescente |
Non crescente |
Attenzione:
in generale le implicazioni non possono essere invertite!
Sottolineiamo che la tabella risulta essere molto comoda nel momento in cui è nota a priori la monotonia delle funzioni che compongono g(f(x)), in tutti gli altri casi è necessario fare affidamento ad altri strumenti analitici che incontrerete nel prosieguo degli studi.
°°°°°
Tag: Funzione composta
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