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Polinomi
7x2+y3 ⟵ è un binomio
3ab+a2-5a4b2+2a5 è ordinato secondo potenze crescenti di a.
dall’esempio appena visto si conclude che l’addizione di due o più polinomi si esegue scrivendo un unico polinomio che ha per termini tutti quelli dei polinomi assegnati, ciascuno col proprio segno e operando poi, se possibile, la riduzione dei termini simili.
E’ possibile effettuare la differenza di polinomi scrivendoli, uno di seguito all’altro, ciascun polinomio racchiuso tra parentesi,
La sottrazione tra due polinomi, si esegue scrivendo un unico polinomio ottenuto scrivendo i termini del primo polinomio (minuendo) col loro segno, seguiti da quelli del secondo polinomio (sottraendo) cambiati di segno ed eseguendo se possibile la riduzione ai termini simili.
E’ possibile effettuare le precedenti operazioni inserendo i polinomi nel seguente modulo, rispettando la notazione Excel che prevede i simboli
am+bm-cm=m(a+b-c)
3a2+3ab=3a(a+b)
Polinomi
°°°°°
In questa prima lezione parliamo di polinomi.
Premessa
Ricordiamo che
si dice monomio nella variabile x un’espressione algebrica del tipo:
(di solito si scrive semplicemente ),
dove a è in genere un numero reale (a∈R) e k è un numero intero non negativo (k∈Z^+).
L’esponente k è il grado del monomio.
Un monomio nelle variabili x, y è invece un’espressione algebrica del tipo:
,
dove ancora
a è un numero reale (a∈R) e m ed n sono numeri interi non negativi (m∈Z^+,n∈Z^+).
Possiamo avere monomi in un qualunque numero di variabili, come ad esempio:
.
Il grado di un monomio in più variabili è dato dalla somma degli esponenti delle variabili in esso presenti.
Quindi il grado del polinomio appena indicato è 10.
Il fattore numerico che precede le lettere è il coefficiente:
se manca vale +1 o −1 a seconda del segno che precede le lettere.
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Si dice polinomio una somma di più monomi.
Ovviamente si potrà specificare polinomio nelle variabili x, y, . . . se i monomi che lo costituiscono sono nelle variabili x, y, . . ..
Si dice grado del polinomio il massimo dei gradi dei monomi che figurano in esso.
Ad esempio,
il polinomio
Ancora, il polinomio
è di grado 5, dato che i monomi sono rispettivamente di grado 3,4,5.
Siano A, B, C polinomi.
Si hanno allora i seguenti prodotti e potenze notevoli:
Osservazione
Lo studente si abitui subito a saper leggere un’identità in entrambi i versi.
Quindi, ad esempio,
nella prima sappia riconoscere una “somma per una differenza”, riscrivendola come differenza di quadrati,
o viceversa
sappia vedere una differenza di quadrati, per scriverla come somma per differenza.
La questione può apparire banale e ovvia ma lo è, appunto, solo in apparenza.
Esercizio 1
Calcolare i prodotti:
Soluzione
(a) Si applica la proprietà distributiva e si ha
(b) Abbiamo la somma di due monomi per la rispettiva differenza.
Il risultato è la differenza dei quadrati
(c) Con la proprietà distributiva si ha
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Esercizio 2
Calcolare le potenze:
Soluzione
(a) È il quadrato di un binomio:
(b) È ancora il quadrato di un binomio:
(c) È il cubo di un binomio:
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Esercizio 3
Calcolare i prodotti:
Soluzione
(a) Qui si potrebbe svolgere il prodotto applicando come in precedenza la proprietà distributiva. Però si può anche riconoscere che si tratta della differenza di due monomi per la rispettiva somma.
Quindi si ha
(b) Anche nel secondo si può riconoscere un caso caratteristico:
la scomposizione della differenza di due cubi.
Quindi si ha
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Esercizio 4
Calcolare le potenze:
Soluzione
(a) Il primo è il quadrato di un trinomio:
(b) Il secondo è il cubo di un binomio:
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Quello che voglio qui richiamare è il procedimento euclideo di divisione tra due polinomi (in una variabile).
Anzitutto
dividere un polinomio P(x) per un polinomio D(x) (D sta per divisore)
significa determinare altri due polinomi Q(x) e R(x)
(Q sta per quoziente e R sta per resto)
tali che valga la seguente scrittura:
Occorre subito dire che questo in generale non è sempre possibile.
La divisione è possibile se e solo se il grado di P è maggiore o uguale del grado di D.
In tal caso esiste un procedimento che permette di trovare i polinomi Q(x) e R(x).
Osservazione:
Qui, come avviene spesso in matematica, si indica con una lettera un intero oggetto.
L’oggetto ora è un polinomio.
Quindi A, B, C rappresentano interi polinomi.
Si noti inoltre che non scrivo ad esempio A(x):
se scrivessi A(x) vorrebbe dire che mi riferisco soltanto a polinomi in una variabile,
mentre
qui le uguaglianze che seguono sono valide per polinomi in un numero qualunque di variabili.
Esempio
Ora richiamo in dettaglio tale procedimento, e lo faccio direttamente su di un esempio.
Prendiamo
Occorre anzitutto scrivere i polinomi P(x) e D(x), ordinandoli per potenze decrescenti (i nostri sono già ordinati), separati da barre, come qui sotto indicato:
Ora si divide
il monomio di grado massimo di P(x) (cioè 8x^2 ) per il monomio di grado massimo del divisore D(x) (cioè 2x) e si scrive il risultato (4x) sotto quest’ultimo:
Ora si moltiplica il 4x per 2x e per −3 e si scrivono i risultati cambiati di segno, a sinistra, sotto i monomi dello stesso grado di P(x), tracciando poi sotto una riga:
Ora si sommano (in colonna) i monomi dello stesso grado a sinistra e si riporta il risultato sotto alla riga prima tracciata:
Ora si ripete il procedimento con il polinomio trovato sotto a sinistra e il divisore D(x), iniziando dalla divisione dei monomi di grado massimo. Il risultato (+5) si scrive a destra, a fianco di 4x.
Quindi si ottiene:
Ora si moltiplica il +5 per quanto c’è nella riga sopra e si riporta il risultato cambiato di segno a sinistra, facendo poi la somma e scrivendo sotto il risultato:
A questo punto il procedimento ha termine, in quanto il polinomio trovato sotto a sinistra (+10) non si può più dividere per il divisore D(x), in quanto il suo grado è minore di quello di quest’ultimo.
Il polinomio quoziente Q(x) si trova sotto il divisore
e
il polinomio resto R(x) è invece quello in fondo a sinistra.
Quindi nel nostro caso si ha:
Q(x) = 4x + 5
e
R(x) = 10
e
vale quindi l’identità:
°°°°°
Vediamo un altro esempio.
Vogliamo dividere
P(x) = x^3 − x + 1 per D(x) = x + 1.
In questo caso nel polinomio P(x) “manca” il monomio di grado 2 (in realtà nessuno ci impedisce di scrivere
P(x) = x^3 + 0x^2 − x + 1).
Conviene allora lasciare un pò di spazio (o anche scrivere appunto 0x 2 ) tra x^3 e −x.
Si ottiene:
Quindi
Q(x) = x^2 − x
e
R(x) = 1
e vale la scrittura:
In qualche caso risulta
R(x) = 0.
Allora
si dice che il polinomio P(x) è divisibile per il polinomio D(x)
e
ovviamente risulta P(x) = D(x)Q(x).
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Questo succede ad esempio nel seguente caso.
Dividiamo
il polinomio P(x) = x^4 +x^3 + 2x^2 +x+ 1
per
il polinomio D(x) = x^2 + x + 1.
Si ottiene
Quindi
Q(x) = x^2 + 1
e
R(x) = 0
e
vale la l’identità
Esercizio 1
Dati
P(x) = x^4 + x^3 − x^2 + x − 1
e
D(x) = x^2 + 1,
trovare quoziente Q(x) e resto R(x) della divisione di P per D.
Soluzione
Con la divisione di Euclide si ottiene il seguente schema:
Quindi
il quoziente è Q(x) = x^2 + x − 2
e
il resto é R(x) = 1.
Vale cioè l’identità
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Esercizio 2
Dati
P(x) = 2x^3 − 3x^2 + 5x − 1
e
D(x) = 2x + 1,
trovare quoziente e resto della divisione di P per D.
Soluzione
Con la divisione di Euclide si ottiene il seguente schema:
Quindi
il quoziente è Q(x) = x^2 − 2x + 7/2
e
il resto é R(x) = − 9/2 .
Vale cioè l’identità:
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Quando
il polinomio divisore D(x) è del tipo x + a (di primo grado con coefficiente di x uguale a 1),
il procedimento euclideo può essere sostituito dal procedimento detto regola di Ruffini,
semplificazione formale di quello euclideo.
Anche qui descriviamo il metodo su di un esempio, uno di quelli visti poco fa, con
P(x) = x^3+0·x^2−x+ 1
e
D(x) = x+ 1.
Si comincia scrivendo i coefficienti di P(x) su una riga e, sulla riga sotto, più a sinistra, la radice del polinomio divisore D(x);
Osservazione:
Una radice (o uno zero) di un polinomio è un valore che, sostituito alla variabile x, annulla il polinomio stesso. Quindi, nel caso del polinomio divisore D(x) = x + a, l’unica radice è −a.
quindi si tracciano tre righe, due verticali e una orizzontale, come nello schema qui sotto
Ora si trascrive il primo coefficiente della prima riga sulla terza riga, lo si moltiplica per la radice del divisore in seconda riga (−1) e si riporta il risultato in seconda riga, terza colonna, sotto lo 0:
Si sommano gli elementi nella terza colonna e si riporta il risultato (−1) in terza riga.
Poi si moltiplica quest’ultimo per la radice del divisore in seconda riga e si riporta il risultato in seconda riga, quarta colonna:
Si sommano gli elementi nella quarta colonna e si riporta il risultato (0) in terza riga.
Si moltiplica quest’ultimo per la radice del divisore in seconda riga e si riporta il risultato in seconda riga, quinta colonna.
Infine si sommano gli elementi della quinta colonna:
Il procedimento è terminato.
Ora basta ricostruire i
polinomi quoziente Q(x)
e
polinomio resto R(x)
sulla base dei coefficienti.
Il polinomio quoziente si legge sulla terza riga, tra le due barre verticali.
Nel nostro caso si tratta di
un polinomio di secondo grado (P(x) è di grado 3
e
D(x) di grado 1),
quindi
il polinomio quoziente è Q(x) = x^2 − x.
Il polinomio resto è R(x)=1 una costante:
è la costante che si trova in basso a destra nella terza riga e ultima colonna.
Osservazione:
È sempre una costante quando si applica la regola di Ruffini, dato che il divisore è di primo grado e quindi il resto è di grado zero, cioè costante.
Pertanto si ha, come prima
Vediamo un altro esempio:
dividiamo
il polinomio P(x) = 2x^3 − 5x^2 + 3x − 2
per
il polinomio D(x) = x − 2.
La regola di Ruffini porta a trovare la tabella
In questo caso il resto è 0,
quindi
il polinomio P(x) è divisibile per D(x).
Si ha quindi
Ancora un esempio:
dividiamo
il polinomio P(x) = x^4 − x^2 + 1
per
il polinomio D(x) = x + 10.
La regola di Ruffini porta a trovare la tabella
Si ha quindi
Quale ulteriore esempio
possiamo mettere a confronto i due procedimenti visti per la divisione dei polinomi:
Allora
Q(x) = 4x^2 + 3x + 8
e
R(x) = 0.
Quindi entrambi i procedimenti portano a scrivere:
oppure
esercizio 1
Dividere
P(x) = x^4 − x^3 + x − 1
per
D(x) = x − 1
utilizzando la regola di Ruffini:
Soluzione
Ecco la tabella:
La tabella dice che
il quoziente della divisione è il polinomio Q(x) = x^3 + 1
e
il polinomio. resto è zero.
Quindi possiamo scrivere che vale l’identità
x^4 − x^3 + x − 1 = (x − 1)(x 3 + 1),
come si trova facilmente anche fattorizzando il polinomio iniziale.
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esercizio 2
Dividere
P(x) = 3x^3 + 2x^2 + x
per
D(x) = x + 3
utilizzando la regola di Ruffini.
Soluzione
Ecco la tabella:
La tabella dice che il quoziente della divisione è
il polinomio Q(x) = 3x^2 − 7x + 22
e
il polinomio resto è −66.
Quindi possiamo scrivere che:
3x^3 + 2x^2 + x = (x + 3)(3x 2 − 7x + 22) − 66.
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Fattorizzare o scomporre un polinomio significa scriverlo come prodotto di fattori, cioè come prodotto di due o più polinomi.
La cosa può essere utile in molti casi, come ad esempio per risolvere equazioni e disequazioni, per semplificare le frazioni algebriche, ed in svariate altre occasioni.
Si richiamano qui, attraverso alcuni esempi, le principali regole, che lo studente dovrebbe già conoscere:
se così non fosse, sarà utile rivedere l’argomento.
1. Raccoglimento semplice.
Consiste nel mettere in evidenza (raccogliere), come primo fattore, un monomio divisore del polinomio.
Esempi
Osservazione
Nell’ultimo esempio,
raccogliendo 1/12 x y invece di 1/2 x y, si ottiene tra parentesi un polinomio con coefficienti interi,
il che può facilitare una successiva fattorizzazione.
Lo studente cerchi di arrivare da solo alla regola generale con cui, dato un polinomio a coefficienti frazionari, un raccoglimento porta ad un polinomio a coefficienti interi.
2. Scomposizione di binomi
Esempi
Osservazioni
Nel quarto esempio il fattore finale (a^2+4b^2 ) non è stato scomposto, perché è somma di due quadrati e ricordiamo che la somma di due quadrati non è fattorizzabile.
Nel quinto esempio è stato fatto anzitutto un raccoglimento:
si è raccolto 1 /10x per avere poi coefficienti interi (vedi osservazione precedente).
Esempi
3. Scomposizione di trinomi
Esempi
Esempi
Osservazione
La scomposizione di trinomi di questo ultimo tipo può essere naturalmente ottenuta facendo ricorso alle equazioni di secondo grado.
4. Scomposizione di quadrinomi
Esempi
Esempi
Esempi
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Esercizio 1
Soluzione
Si ha:
(a) 4x^2 − 4x + 1 = (2x − 1)^2
(b) 4x^2 − 9 = (2x − 3)(2x + 3)
(c) z^4 + z^6 = z^4 (1 + z^2 ).
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Esercizio 2
Soluzione
Si ha:
(a) 4p^2 − 20pq + 25q^2 = (2p − 5q)^2 .
(b) 8/3 x^2 − 8/3 x + 2/3 = 2/3 (4x^2 − 4x + 1) = 2/3 (2x − 1)^2 .
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Esercizio 3
Soluzione
Si ha:
(a) x^3 − 2x^2 + x = x(x^2 − 2x + 1) = x(x − 1)^2 .
(b) 4x^2 y^2 − 4 xyzt + z^2 t^2 = (2 xy − zt)^2 .
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Esercizio 4
Soluzione
Si ha:
(a) 3x^2 − 3 /4 = 3 /4 (4x^2 − 1) = 3/4 (2x − 1)(2x + 1).
(b) a^2 b^2 − 4t^2 = (ab − 2t)(ab + 2t).
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Esercizio 5
Soluzione
Si ha:
x^4 y^2 t ^2 − z^4 t^2 = t^2 (x^4 y^2 − z^4 ) = t^2 (x^2 y − z^2 )(x^2 y + z^2 ).
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Esercizio 6
Soluzione
Si ha:
1 − p^4 q^4 = (1 − p^2 q^2 )(1 + p^2 q^2 ) = (1 − pq)(1 + pq)(1 + p^2 q^2 ).
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Esercizio 7
Soluzione
Si ha:
(a) 2x 3y^2 − x^4y^3 + 3x^2y^5 = x^2y^2 (2x − x^2y + 3y^3 )
(b) 81x^2y^4 − 64z^6 = (9 xy^2 − 8z^3 )(9 xy^2 + 8z^3 )
(c) 9/2 z^2 t^3 − 2t = 1 /2 t(9z^2 t^2 − 4) = 1/2 t(3zt − 2)(3zt + 2)
(d) 1/3 x^4y^3 + 2x^2y^2 z + 3 yz^2 = 1/3 y(x^4y^2 + 6x 2 yz + 9z^2 ) = 1/3 y(x^2y + 3z)^2
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Segue…
Monomi
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Monomi
Calcolo Letterale
ESPRESSIONI LETTERALI E VALORE NUMERICO DI UN’ESPRESSIONE
Lettere per esprimere formule
La procedura per determinare la misura della superficie di un rettangolo ovviamente è sempre la stessa e la possiamo esprimere con una formula:
A = b⋅h,
nella quale abbiamo indicato con
b la misura di una dimensione
e con
h la misura dell’altra dimensione,
assegnate rispetto alla stessa unità di misura.
La formula ha carattere generale; essa serve ogni qualvolta si chiede di determinare la superficie di un rettangolo, note le misure delle dimensioni (base e altezza) rispetto alla stessa unità di misura.
In geometria
si utilizzano tantissime formule che ci permettono di determinare perimetro e area delle figure piane, superficie laterale e superficie totale e volume dei solidi.
Nelle formule le lettere sostituiscono le misure di determinate grandezze, tipiche di quella figura o di quel solido.
Lettere per descrivere schemi di calcolo
L’uso di lettere dell’alfabeto per indicare numeri ci permette di generalizzare uno schema di calcolo
DEFINIZIONE.
Un’espressione letterale o espressione algebrica è uno schema di calcolo in cui compaiono numeri e lettere legati dai simboli delle operazioni.
Lettere per esprimere proprietà
Il valore numerico di un’espressione letterale
DEFINIZIONI
In un’espressione letterale le lettere rappresentano le variabili che assumono un preciso significato quando vengono sostituite da numeri.
Chiamiamo
valore di un’espressione letterale il risultato numerico che si ottiene eseguendo le operazioni indicate dallo schema di calcolo quando alle lettere sostituiamo un numero.
Il valore dell’espressione letterale dipende dal valore assegnato alle sue variabili.
Condizione di esistenza di un’espressione letterale
MONOMI E OPERAZIONI CON I MONOMI
L’insieme dei monomi
DEFINIZIONE.
Una espressione letterale in cui numeri e lettere sono legati dalla sola moltiplicazione si chiama monomio.
OSSERVAZIONI
Gli elementi di un monomio sono fattori,
perché sono termini di una moltiplicazione ma possono comparire anche potenze, infatti la potenza è una moltiplicazione di fattori uguali.
Non possono invece comparire esponenti negativi o frazionari.
In un monomio gli esponenti delle variabili devono essere numeri naturali.
DEFINIZIONE.
Un monomio si dice ridotto in forma normale quando è scritto come prodotto di un solo fattore numerico e di potenze letterali con basi diverse.
PROCEDURA.
Per ridurre in forma normale un monomio occorre:
moltiplicare tra loro i fattori numerici moltiplicare le potenze con la stessa base
DEFINIZIONE.
La parte numerica del monomio ridotto a forma normale si chiama coefficiente
DEFINIZIONI
Se il coefficiente del monomio è zero il monomio si dice nullo.
Il complesso delle lettere che compaiono nel monomio ridotto a forma normale ne costituisce la parte letterale.
DEFINIZIONE.
Due o più monomi che hanno parte letterale identica sono monomi simili.
DEFINIZIONE.
Due monomi simili che hanno coefficiente opposto si dicono monomi opposti.
DEFINIZIONI
Il grado complessivo di un monomio è la somma degli esponenti della parte letterale.
Quando il monomio è ridotto a forma normale, l’esponente di una sua variabile ci indica il grado del monomio rispetto a quella variabile.
Il valore di un monomio
Moltiplicazione di due monomi
Ci proponiamo ora di introdurre nell’insieme dei monomi le operazioni di addizione, sottrazione, moltiplicazione, potenza, divisione.
Ricordiamo che definire in un insieme un’operazione significa stabilire una legge che associa a due elementi dell’insieme un altro elemento dell’insieme stesso.
La moltiplicazione di due monomi si indica con lo stesso simbolo della moltiplicazione tra numeri; i suoi termini si chiamano fattori e il risultato si chiama prodotto, proprio come negli insiemi numerici.
DEFINIZIONE.
Il prodotto di due monomi è il monomio avente per coefficiente il prodotto dei coefficienti, per parte letterale il prodotto delle parti letterali dei monomi fattori.
Procedura per moltiplicare due monomi
La moltiplicazione tra monomi si effettua moltiplicando prima i coefficienti numeri e dopo le parti letterali:
nella moltiplicazione tra i coefficienti usiamo le regole note della moltiplicazione tra numeri razionali.
nella moltiplicazione tra le parti letterali applichiamo la regola del prodotto di potenze con la stessa base.
Potenza di un monomio
DEFINIZIONE.
La potenza di un monomio è un monomio avente per coefficiente la potenza del coefficiente e per parte letterale la potenza della parte letterale.
Procedura per eseguire la potenza di un monomio:
Applichiamo la proprietà relativa alla potenza di un prodotto, eseguiamo cioè la potenza di ogni singolo fattore del monomio.
applichiamo la proprietà relativa alla potenza di potenza, moltiplicando l’esponente della variabile per l’esponente delle potenza.
Addizione di due monomi
L’addizione di due monomi si indica con lo stesso simbolo dell’addizione tra numeri; i suoi termini si chiamano addendi e il risultato si chiama somma.
1° caso: addizione di due monomi simili
DEFINIZIONE.
La somma di due monomi simili è un monomio simile agli addendi e avente come coefficiente la somma dei coefficienti.
Osserva che la somma di monomi si riduce alla somma algebrica tra i coefficienti.
Proprietà della addizione:
-
commutativa: m1 + m2 = m2 + m1
-
associativa: ( m1 + m2) + m3 = m1 +( m2 + m3) = m1 + m2 + m3
-
0 è l’elemento neutro: 0 + m = m + 0 = m
-
per ogni monomio m esiste il monomio opposto, cioè un monomio m* tale che m + m* = 0.
L’ultima proprietà enunciata ci permette di definire nell’insieme dei monomi simili anche la sottrazione di monomi.
Essa si indica con lo stesso segno della sottrazione tra numeri e il suo risultato si chiama differenza.
DEFINIZIONE.
Per sottrarre due monomi simili si aggiunge al primo l’opposto del secondo.
Sulla base di quanto detto, possiamo unificare le due operazioni di addizione e sottrazione di monomi simili in un’unica operazione che chiamiamo “somma algebrica di monomi”
DEFINIZIONE.
La somma algebrica di due monomi simili è un monomio simile agli addendi avente per coefficiente la somma algebrica dei coefficienti.
2° caso: addizione di monomi non simili
Il procedimento che abbiamo seguito per determinare il risultato dell’addizione assegnata viene chiamato riduzione dei termini simili.
In conclusione,
l’operazione di addizione tra monomi ha come risultato un monomio solo se gli addendi sono monomi simili;
in caso contrario la somma viene effettuata riducendo i monomi simili e lasciando indicata l’addizione tra gli altri monomi.
Divisione di due monomi
DEFINIZIONE:
assegnati due monomi m1 e m2 con m2 diverso dal monomio nullo, se è possibile determinare il monomio q tale che m1 = q ⋅ m2 ,
si dice che m1 è divisibile per m2 e q è il monomio quoziente.
Procedura per calcolare il quoziente di due monomi
-
Il quoziente di due monomi è un monomio così composto:
-
il coefficiente è il quoziente dei coefficienti dei monomi dati
-
la parte letterale ha gli esponenti ottenuti sottraendo gli esponenti delle stesse variabili
-
se la potenza di alcune delle lettere risulta negativa il risultato della divisione non è un monomio.
In conclusione,
l’operazione di divisione tra due monomi ha come risultato un monomio se ogni variabile del dividendo ha esponente maggiore o uguale all’esponente con cui compare nel divisore.
Espressioni con i monomi
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POLINOMI ED OPERAZIONI CON ESSI
Definizioni fondamentali
Un polinomio è un’espressione algebrica letterale che consiste in una somma algebrica di monomi.
Un polinomio può anche essere costituito da un unico termine, pertanto un monomio è anche un polinomio.
Un polinomio che, ridotto in forma normale, è somma algebrica di due, tre, quattro monomi non nulli si dice rispettivamente binomio, trinomio, quadrinomio.
Due polinomi, ridotti in forma normale, formati da termini uguali si dicono uguali,
più precisamente vale
il principio di identità dei polinomi:
due polinomi p( x) e q x( ) sono uguali se, e solo se, sono uguali i coefficienti dei termini simili.
Se due polinomi sono invece formati da termini opposti, allora si dicono polinomi opposti.
Definiamo, inoltre,
un polinomio nullo quando i suoi termini sono a coefficienti nulli.
Il polinomio nullo coincide con il monomio nullo.
Un polinomio si dice omogeneo se tutti i termini che lo compongono sono dello stesso grado.
Un polinomio di grado n rispetto ad una data lettera si dice completo se contiene tutte le potenze di tale lettera di grado inferiore a n , compreso il termine noto.
Somma algebrica di polinomi
I polinomi sono somme algebriche di monomi e quindi le espressioni letterali che si ottengono dalla somma o differenza di polinomi sono ancora somme algebriche di monomi.
In definitiva diciamo che la somma di due o più polinomi è un polinomio avente per termini tutti i termini dei polinomi addendi.
Prodotto di un polinomio per un monomio
Quoziente tra un polinomio e un monomio
Il quoziente tra un polinomio e un monomio si calcola applicando la proprietà distributiva della divisione rispetto all’addizione.
Si dice che un polinomio è divisibile per un monomio, non nullo, se esiste un polinomio che, moltiplicato per il monomio, dà come risultato il polinomio di partenza; il monomio si dice divisore del polinomio.
Prodotto di polinomi
Il prodotto di due polinomi è il polinomio che si ottiene moltiplicando ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio.
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Insieme dei numeri razionali
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“La matematica non conosce razze o confini geografici; per la matematica, il mondo culturale è una singola nazione.”
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Insieme dei numeri razionali
In matematica, un numero razionale è un numero ottenibile come rapporto tra due numeri interi primi fra loro, il secondo dei quali diverso da 0.
Ogni numero razionale quindi può essere espresso mediante una frazione a/b, di cui a è detto il numeratore e b il denominatore. Sono ad esempio numeri razionali i seguenti:
- , , .
I numeri razionali formano un campo, indicato con il simbolo , che sta per quoziente.
In gran parte dell’analisi matematica i numeri razionali sono visti come particolari numeri reali, nel senso che esiste un isomorfismo tra i numeri reali dotati di parte decimale finita o periodica e i numeri razionali, il quale preserva la struttura di come (sotto)-campo di ; i numeri reali che non sono razionali sono detti irrazionali.
Ad esempio, sono irrazionali i seguenti:
- , , .
Nessuno di questi numeri può infatti essere descritto come rapporto di due numeri interi. I numeri e indicano rispettivamente la costante di Nepero e pi greco.
Mentre oggi spesso l’insieme dei numeri razionali è visto come sottoinsieme di quello dei numeri reali, storicamente e naturalmente i razionali sono stati introdotti prima dei reali, per permettere l’operazione di divisione fra numeri interi.
I numeri reali si possono introdurre servendosi dei numeri razionali in vari modi: mediante le sezioni di Dedekind, con una costruzione tramite successioni di Cauchy, con serie convergenti di numeri razionali.
In fisica, il risultato di una misurazione è solitamente esprimibile come numero razionale, dipendente dalla precisione dello strumento.
Storia
I numeri razionali (positivi[1]) furono il primo tipo di numeri, dopo i naturali (ossia gli interi positivi) ad essere riconosciuti come numeri e ad essere comunemente usati in matematica.
Gli antichi Egizi li usavano scomponendoli come somme di frazioni dal numeratore unitario (ancora oggi chiamate frazioni egiziane), rappresentandoli ponendo un simbolo sopra la rappresentazione dell’intero corrispondente; i Babilonesi usavano invece una scrittura posizionale (come per gli interi) a base sessagesimale.
Pitagora e i pitagorici basavano la loro concezione del mondo sui rapporti tra numeri interi, ovvero sui numeri razionali, e pensavano che ogni cosa esistente al mondo potesse essere ridotta a tali numeri: la loro scoperta dell’irrazionalità della radice quadrata di due distrusse questa concezione. Lo stesso concetto di “rapporto” non è del tutto chiaro nemmeno negli Elementi di Euclide, dove l’intero quinto libro è dedicato alla teoria delle proporzioni. Secondo le sue definizioni, un rapporto è un “tipo di relazione dimensionale tra due grandezze dello stesso tipo”[2], mentre due grandezze possono essere poste in rapporto se “esiste un multiplo intero della prima che supera l’altro”[3] (definizione dovuta probabilmente a Eudosso, che ricalca quello che viene oggi chiamato assioma di Archimede). L’uguaglianza di rapporti implica un’altra definizione complicata: in notazione moderna, equivale a dire che se e solo se, dati due numeri m ed n, si ha che
- ma < nb implica mc < nd;
- ma = nb implica mc = nd;
- ma > nb implica mc > nd.
La definizione di grandezze commensurabili è invece la prima del libro X, e stabilisce che queste sono le grandezze che hanno una misura comune, ovvero sono multipli interi dello stesso numero.
La notazione decimale dei numeri fu introdotta da Stevino verso la fine del XVI secolo, sebbene lui non accettasse sviluppo decimali che non si concludessero, lasciando fuori così un gran numero di razionali. Più tardi Clavius e Nepero eliminarono questa limitazione.
Origine del termine
Il termine razionale deriva dal latino ratio, nel suo significato di rapporto.
Molte entità e strutture matematiche, come i polinomi o gli spazi vettoriali, nella loro definizione fanno riferimento ad un campo; l’aggettivo “razionale” attribuito ad una di queste entità è spesso usato per specificare che il campo scelto è quello dei numeri razionali. Per esempio si dice polinomio razionale ogni polinomio i cui coefficienti sono solo numeri razionali.
Va rilevato che sono dette operazioni razionali le quattro operazioni di addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione definite su strutture algebriche come i campi o gli anelli. Ne consegue che in vari casi l’aggettivo “razionale” riguarda entità ottenibili servendosi delle quattro operazioni razionali a partire da certi oggetti di base. Ad esempio si dicono funzioni razionali (in una o più variabili) le funzioni ottenibili componendo con operazioni razionali la variabile o le variabili e gli elementi di un campo.
Costruzione formale
Da un punto di vista formale, non è possibile definire i numeri razionali semplicemente come coppie di numeri interi (cioè come l’insieme delle frazioni del tipo ), perché in questo caso, ad esempio, le coppie (3,2) e (6,4) sarebbero numeri diversi, mentre tra i razionali vale l’uguaglianza
È necessario quindi introdurre le nozioni di relazione e classe d’equivalenza, nel modo seguente.
Ogni numero razionale è una classe di equivalenza di coppie ordinate di numeri interi , con diverso da zero. La relazione di equivalenza è la seguente
L’addizione e la moltiplicazione di numeri razionali sono definite come
Si verifica che entrambe le operazioni così definite sono compatibili con la relazione di equivalenza: il loro risultato, infatti, non dipende dalle particolari coppie ordinate scelte per indicare i numeri razionali da sommare o moltiplicare. L’insieme quoziente di questa relazione è quindi Q.
Si noti che le operazioni ora definite non sono altro che la formalizzazione delle consuete operazioni tra frazioni:
Con le operazioni di cui sopra, risulta un campo, ove la classe di gioca il ruolo dello zero, e la classe di quello di uno. L’opposto della classe di è la classe di . Inoltre, se , ovvero la classe di è diversa da zero, allora la classe di è invertibile, ed ha per inverso la classe di .
La classe di equivalenza corrisponde all’esistenza di più rappresentazioni come frazione dello stesso numero razionale:
per ogni k intero non nullo.
Possiamo definire anche un ordine totale su Q nel modo seguente:
Scrittura decimale
Come tutti i numeri reali, i numeri razionali possono essere rappresentati tramite il sistema numerico decimale. Lo sviluppo decimale dei numeri razionali ha la particolarità di essere periodico: un numero reale è razionale se e solo se nella sua scrittura esiste una sequenza finita di cifre (detta periodo) che si ripete all’infinito, da un certo punto in poi dopo la virgola.[4]
Si può facilmente dimostrare che nessun numero razionale, nel suo sviluppo decimale in base 10, può ammettere periodo 9.
Ad esempio:
- (si ripete il periodo “3” all’infinito)
Un numero razionale può essere descritto quindi “soprallineando” il periodo, come in questi esempi.
Questa equivalenza tra razionali e numeri periodici implica che nessun numero razionale è normale in una qualunque base. Può essere usata anche per dimostrare l’irrazionalità di molti numeri: ad esempio
dove ogni 1 è separato da una sequenza di zeri di lunghezza crescente, è irrazionale in qualsiasi base, in quanto, se fosse razionale, il suo periodo conterrebbe una sequenza finita di zeri separati da 1. Tuttavia nell’espansione possono essere trovati gruppi di zeri di qualsiasi lunghezza, e quindi un periodo di tal genere non può esistere. Con metodi simili si può dimostrare che la costante di Copeland-Erdős formata, in base dieci, dalla giustapposizione dei numeri primi, è irrazionale.
Questa tecnica è tuttavia inutile per provare l’irrazionalità di numeri non definiti in base alla loro espansione decimale, come e pi greco.
Frazioni continue
I numeri razionali hanno una rappresentazione in frazione continua semplice finita, e sono gli unici a possedere questa proprietà. Inoltre sono gli unici in cui la rappresentazione non è unica, ma doppia: ad esempio
Struttura algebrica
Munito di addizione, moltiplicazione e relazione d’ordine, l’insieme ha la struttura algebrica di un campo ordinato archimedeo, e tuttavia non è un campo completo (si può dimostrare che il sottoinsieme ha come estremante superiore il valore , che non è un numero razionale).
L’unico sottocampo del campo dei numeri razionali è se stesso. Gli elementi neutri per la somma ed il prodotto sono rispettivamente 0 ed 1. La caratteristica del campo è 0; si può dimostrare inoltre che ogni campo con caratteristica 0 contiene un sottocampo isomorfo ai numeri razionali, e quindi che ogni campo di questo tipo può essere considerato come un’estensione dei razionali. In particolare, i razionali ne formano il sottocampo fondamentale.
La chiusura algebrica dei numeri razionali non è formata dai numeri reali, ma dai numeri algebrici, i quali formano uno spazio vettoriale di dimensione infinita sui razionali.
Il campo dei numeri razionali è inoltre il campo dei quozienti dell’insieme dei numeri interi.
I razionali come spazio metrico
Per il teorema di Ostrowski, i razionali sono uno spazio metrico rispetto solo a due tipi di valore assoluto: l’usuale modulo
e il valore assoluto p-adico
dove p è un qualsiasi numero primo e n è tale che e a, b e p sono a due a due coprimi. Le norme riferiti a questi due valori assoluti sono rispettivamente
e
I razionali non sono completi rispetto a nessuna di queste due norme: i completamenti sono rispettivamente i numeri reali e i numeri p-adici. Quest’ultimo è particolarmente usato in teoria dei numeri, mentre l’introduzione dei numeri reali è necessaria per poter stabilire alcuni teoremi fondamentali dell’analisi, tra cui il teorema degli zeri e il teorema di Weierstrass.
Numerabilità
è numerabile, cioè esiste una corrispondenza biunivoca tra i razionali e i numeri naturali. Questo risultato, apparentemente paradossale (è naturale, infatti, pensare che le frazioni siano “molte di più” degli interi), è stato dimostrato da Georg Cantor. Il suo ragionamento si basa sul diagramma a fianco: possiamo infatti ordinare i razionali positivi, seguendo le frecce, in modo che ad ognuno di essi sia assegnato un numero naturale[5]; anzi, ogni numero sarà contato infinite volte (perché ognuno ha un’infinità di rappresentazioni diverse), ma questo non può rendere l’insieme più grande. Lo stesso argomento può essere usato per dimostrare che i razionali negativi sono numerabili. Poiché l’unione di due insiemi numerabili è ancora numerabile, risulta essere numerabile.
Al contrario, l’insieme dei numeri reali non è numerabile, e quindi “quasi tutti” i numeri reali sono irrazionali. Questo implica che, sebbene sia denso in , abbia misura di Lebesgue nulla.
Polinomi
L’anello dei polinomi a coefficienti razionali si indica con . Al contrario dei polinomi a coefficienti reali o complessi, non esiste un criterio semplice per individuare l’eventuale irriducibilità di un polinomio a coefficienti razionali.
La maggior parte dei criteri usati si basano sul lemma di Gauss, il quale afferma che un polinomio a coefficienti interi è riducibile nell’anello se e solo se è riducibile in fattori di grado maggiore di 0 nell’anello dei polinomi a coefficienti interi. Poiché ogni polinomio a coefficienti razionali può essere trasformato in uno a coefficienti interi moltiplicando per il massimo comun divisore dei denominatori senza cambiare la sua irriducibilità, questo lemma permette di applicare ai polinomi a coefficienti razionali alcuni criteri, come il criterio di Eisenstein, che si applicano sui polinomi a coefficienti interi.
In particolare, questo criterio permette di costruire polinomi irriducibili di qualunque grado: ad esempio
è irriducibile. Questo non avviene negli anelli di polinomi a coefficienti reali o complessi: nel primo caso i polinomi irriducibili possono essere solamente di primo o di secondo grado, mentre nel caso complesso, in conseguenza del teorema fondamentale dell’algebra, ogni polinomio si scompone in fattori di primo grado.
Radici razionali
Al contrario di quanto avviene con le radici reali (o complesse), esiste un algoritmo molto veloce per stabilire quali siano (se esistono) gli zeri razionali di un polinomio (a coefficienti interi, forma a cui può essere ridotto ogni polinomio a coefficienti razionali). Il teorema delle radici razionali afferma infatti che, se
con gli interi, allora, nelle eventuali radici razionali p/q, p è un divisore di e q di . Poiché i divisori di questi due numeri sono in numero finito, sarà sufficiente, per il teorema del resto, controllare se per ogni coppia di divisori si ha P(p/q)=0 (nel qual caso p/q è una radice) oppure no.
Razionali complessi
Approssimazioni razionali
Un risultato importante è il teorema di Liouville, dimostrato nel 1844 da Joseph Liouville: esso asserisce che se è un numero algebrico di grado n, allora esiste una costante c>0 tale che
per ogni razionale p/q. Da questo Liouville riuscì a costruire i primi esempi di numeri trascendenti (detti oggi numeri di Liouville), mostrando che per questi esistevano delle successioni di razionali che rendevano impossibile l’esistenza di un tale c.
Nel 1955 Klaus Roth dimostrò[6] che per ogni algebrico e per ogni la disuguaglianza
può avere solamente un numero finito di soluzioni in cui p e q sono interi coprimi.
Tale risultato migliorava quelli ottenuti in precedenza da Axel Thue e Carl Ludwig Siegel.
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