una funzione analitica. Allora sia la sia la sono funzioni armoniche delle due variabili e :
Infatti, è sufficiente calcolare le derivate seconde delle equazioni di Cauchy-Riemann e confrontarle, ricordando che:
Nel caso di funzioni di una variabile reale, spesso la continuità è presentata come una proprietà del grafico: la funzione è continua se il suo grafico è formato da un’unica curva che non compia mai salti. Sebbene questa nozione possa essere usata nei casi più semplici per distinguere funzioni continue da funzioni discontinue, non è formalmente corretta, e può portare ad ambiguità o errori.
Tale definizione è usata maggiormente per funzioni definite su un intervallo della retta reale: infatti, essa ha senso solo se è un punto di accumulazione per il dominio di .
Essa è comunque estendibile anche nel caso di domini più complicati, che comprendono punti isolati: in essi, risulta continua per una “verità vuota” (dall’inglese vacuous truth).
In generale, l’inverso non è vero: ad esempio, se una funzione continua è somma di due funzioni, non è detto che entrambi gli addendi siano a loro volta funzioni continue. Ad esempio se
Una funzione continua è sempre continua per successioni, mentre, al contrario è possibile dare esempi di funzioni continue per successioni, ma non continue. L’inverso vale solo se il dominio è uno spazio sequenziale, come lo sono gli spazi primo-numerabili[8] e dunque in particolare gli spazi metrici: in questo caso, quindi, le due definizioni si possono considerare equivalenti.[9]
Queste proprietà non sono estendibili a funzioni a più di una variabile, in quanto nel piano, nello spazio, e generalmente in quando non esiste relazione d’ordine, ovvero non è possibile definire una “destra” o una “sinistra”.
Se la prima (o rispettivamente la seconda) proprietà vale in ogni punto del dominio, si dice che la funzione è semicontinua inferiormente (o rispettivamente semicontinua superiormente).
La semicontinuità (sia inferiore che superiore), è una proprietà più debole della continuità: esistono funzioni semicontinue ma non continue. Viceversa, una funzione è continua se e solo se è sia semicontinua inferiormente che semicontinua superiormente.
Continuità separata.
Nel caso di funzioni di più variabili, è possibile definire una condizione più debole di continuità, detta continuità separata: una funzione è continua separatamente in un punto rispetto a una delle variabili se è continua la funzione di una variabile dipendente solo dal parametro , lasciando le restanti variabili fissate al valore assunto nel punto in esame.
Equicontinuità.
Geometricamente, il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse .
Geometricamente, il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine degli assi.
Inoltre dato che l’unica funzione pari e dispari è lo spazio delle funzioni pari è in somma diretta con quello delle funzioni dispari.
è la somma di tre monomi.
Le costanti sono anche chiamate “coefficienti” e sono tutte elementi di uno stesso insieme numerico o di un anello.
I polinomi sono oggetti matematici di fondamentale importanza, alla base soprattutto dell’algebra, ma anche dell’analisi e della geometria analitica.
Somme e prodotti di polinomi danno come risultato un nuovo polinomio.
Somma di due polinomiIl grado (degree) della somma (o differenza) di due polinomi è minore o uguale al polinomio di grado maggiore. È sempre uguale al massimo tra i due, quando i due polinomi hanno grado differente:
- .
- .
Esempi:
- Il grado di è 3. Si noti che 3 ≤ max(3, 2)
- Il grado di è 2. Si noti che 2 ≤ max(3, 3)
Prodotto di un polinomio per uno scalareIl grado del prodotto di un polinomio per un numero scalare (diverso da zero) è uguale al grado del polinomio:
- .
Esempio:
- Il grado di è 2, che è appunto uguale al grado di .
Si noti che questo non è sempre vero per i polinomi definiti su un anello che contiene un divisore di zero. Ad esempio, in , , ma . L’insieme dei polinomi aventi coefficienti da un dato campo F e grado minore o uguale a n, forma uno spazio vettoriale (questo insieme non è un anello, e non è chiuso, come mostrato in precedenza).
Moltiplicazione di due polinomiIl grado del prodotto di due polinomi definiti su un campo -(oggetto in cui sono definite le operazioni di somma e prodotto, con certe proprietà)- oppure su un dominio d’integrità, è pari alla somma dei gradi dei due polinomi:
- .
Es.:
- Il grado di è .
Si noti che ciò non è sempre vero per i polinomi definiti su un anello arbitrario. Ad esempio, in , , ma .
Composizione di due polinomiIl grado della composizione di due polinomi e a coefficienti non costanti è uguale al prodotto dei rispettivi gradi:
- .
Es.:
- Se , , allora , che ha grado d 6.
Si noti che ciò non è sempre vero per i polinomi definiti su un anello arbitrario. Ad esempio, in , , ma .
Grado del polinomio zero
Possiamo affermare correttamente sia che il grado del polinomio zero è indefinito, sia che il grado del polinomio zero può essere definito con un numero negativo (per convenzione −1 o −∞).
Come qualsiasi valore costante, il valore zero può essere considerato come un polinomio (costante), detto polinomio-zero. Questo polinomio non ha termini che non siano nulli, e perciò, propriamente non ha un grado, vale a dire che il suo grado è indefinito.
Le proposizioni precedenti sul grado della somma, prodotto e composizione di polinomi non si applicano se anche uno dei due è un polinomio-zero..
Le formule valgono se si introducono alcune opportune estensioni. È pertanto utile definire il grado di un polinomio-zero, pari a meno infinito, −∞, e introdurre quindi queste regole aritmetiche.
e
I seguenti esempi illustrano come questa estensione soddisfi quelle di somma, prodotto e composizione di due polinomi.:
- Il grado della somma è 3. Ciò soddisfa il risultato atteso, cioè che .
- Il grado della differenza è . E, infatti, vale che: .
- Il grado del prodotto è . E, infatti, vale che: .
Polinomi di una sola variabileUn polinomio generico con una sola variabile si può rappresentare con la seguente scrittura:
con diverso da zero. Con questa scrittura, è il termine noto e è il grado. si dice coefficiente direttore.
Un tale polinomio è
- monico, se ,
- completo, se tutti gli sono diversi da zero, per .
Radici di un polinomio
Lo stesso argomento in dettaglio:
Radice (matematica).
Una radice di un polinomio in una sola variabile è un numero tale che
cioè tale che, sostituito a , rende nulla l’espressione. Quindi se
il numero è radice se
Nel caso di polinomi a coefficienti reali l’insieme delle radici reali di un polinomio si può visualizzare sul piano cartesiano come l’intersezione del grafico della funzione polinomiale con l’asse delle ascisse.
In un dominio, un polinomio di grado può avere al più radici distinte. Esistono polinomi senza radici reali, come ad esempio
poiché per ogni reale. D’altra parte, per il teorema fondamentale dell’algebra ogni polinomio complesso ha esattamente radici complesse, contate con molteplicità.
Nella scuola vengono insegnate formule per trovare le radici dei polinomi di primo e secondo grado. Esistono formule analoghe per esprimere la radici di un polinomio di terzo e quarto grado in termini dei coefficienti, utilizzando solamente le quattro operazioni ed estrazioni di radice (la cosiddetta risoluzione per radicali). È stato invece dimostrato nella teoria di Galois che non esiste una formula generale di questo tipo per polinomi dal quinto grado in su.
°°°°°
Funzioni polinomiali
Sia un anello. A un polinomio
-
a coefficienti in si può associare una funzione polinomiale, che è la funzione da in sé definita da
-
per . Se è finito, allora polinomi diversi possono dare luogo alla stessa funzione. Per esempio se è il campo con un numero primo di elementi, allora al polinomio nullo e al polinomio è comunque associata, per il piccolo teorema di Fermat, la funzione che manda ogni elemento di in zero. Lo stesso può valere se è infinito, ma non è un dominio, per esempio se è un’algebra esterna infinita, in cui vale per ogni .
Se invece è un dominio infinito, allora vale il seguente principio d’identità dei polinomi, che afferma che a polinomi diversi sono associate funzioni polinomiali diverse (cioè la funzione sopra descritta che associa a un polinomio una funzione polinomiale è iniettiva):
-
due polinomi e a coefficienti in un dominio infinito tali che per ogni sono uguali.
Questo dipende dal fatto che in un dominio un polinomio non nullo ha solo un numero finito di radici.
Negli esempi che seguono, fissiamo eguale al campo dei numeri reali. A seconda del grado,
- un polinomio di grado è una funzione costante,
- un polinomio di grado è una funzione lineare,
- un polinomio di grado è una funzione quadratica o conica,
- un polinomio di grado è una funzione cubica.
Esempi
Polinomio di grado 2:
f(x) = x2 – x – 2
= (x+1)(x-2)
|
Polinomio di grado 3:
f(x) = x3/5 + 4x2/5 – 7x/5 – 2
= 1/5 (x+5)(x+1)(x-2)
|
Polinomio di grado 4:
f(x) = 1/14 (x+4)(x+1)(x-1)(x-3) + 0.5
|
Polinomio di grado 5:
f(x) = 1/20 (x+4)(x+2)(x+1)(x-1)(x-3) + 2
|
DerivataUna funzione polinomiale a coefficienti reali
è derivabile e la sua derivata è ancora un polinomio,
Ragionando quindi induttivamente, si può quindi affermare che le funzioni polinomiali sono infinitamente derivabili (o lisce) e che la derivata (n+1)-esima di un polinomio di grado è la funzione nulla. In realtà esse sono anche funzioni analitiche.
°°°°°
Anello di polinomi
Lo stesso argomento in dettaglio:
Anello dei polinomi.
Dato un anello , il simbolo
denota l’insieme di tutti i polinomi nelle variabili con coefficienti in . Ad esempio, può essere un campo come quello dei numeri reali o complessi.
L’insieme risulta essere anch’esso un anello, l’anello dei polinomi in variabili con coefficienti in . Lo studio delle proprietà di questo anello è una parte importante dell’algebra e della geometria algebrica.
Se è un campo, l’anello dei polinomi è un’algebra su , e quando è anche un anello euclideo, nel senso che i polinomi possono essere divisi con quoziente e resto come i numeri interi (se questo non è vero poiché l’anello di polinomi non è un dominio ad ideali principali).
Esempi
- non è un dominio ad ideali principali, e quindi neanche un anello euclideo. Infatti l’ideale generato dai polinomi e non è principale.
- non è un dominio ad ideali principali, e quindi neanche un anello euclideo. Infatti l’ideale generato dai polinomi e non è principale.
- , se è un campo, è un dominio euclideo.
- Il principio di identità dei polinomi vale solo su domini infiniti. Ad esempio, se è il campo finito con due elementi, cioè
-
- allora il polinomio
- è tale che per ogni in (cioè e ), benché non sia il polinomio nullo.
Derivata formale
Lo stesso argomento in dettaglio:
Algebra differenziale.
Il calcolo della derivata di un polinomio si estende come definizione di derivata (chiamata derivata formale) nel caso in cui il polinomio abbia coefficienti in un anello , anche in assenza del calcolo infinitesimale. Molte delle proprietà della derivata si estendono anche alla derivata formale.
Funzione razionale
In matematica, una funzione razionale è una funzione esprimibile come rapporto fra polinomi, in modo analogo ad un numero razionale che è un numero esprimibile come rapporto fra interi.
Definizione
Funzione razionale y = (x²-3x-2)/(x²-4)
Una funzione razionale in una variabile è una funzione del tipo:
dove e sono due polinomi.
Ad esempio:
è una funzione razionale a una variabile.
Una funzione è detta razionale intera quando al secondo membro figura un polinomio.
Per ottenere il valore della variabile dipendente , si svolgono operazioni costituite da somme, differenze e prodotti. Alla può quindi essere assegnato qualsiasi valore.
Una funzione è detta razionale fratta quando al secondo membro figura una frazione il cui numeratore e denominatore sono polinomi. In questo caso, per ottenere il valore della variabile dipendente , oltre alle operazioni costituite da somme, differenze e prodotti, occorre eseguire l’operazione di divisione. Alla può quindi essere assegnato qualsiasi valore che non annulli il denominatore.
Una funzione razionale può essere reale o complessa, a seconda che i coefficienti dei polinomi siano numeri reali o complessi. Più in generale, i coefficienti devono essere elementi di un campo (che può essere appunto oppure ).
Il dominio (anzi, più precisamente l’insieme di definizione) della funzione è l’insieme di tutti i valori di che non sono radici di . Ovvero, tutti gli tali che il denominatore è diverso da zero. Infatti solo per questi valori ha senso dividere per .
Ad esempio, la funzione razionale descritta sopra, se considerata sui numeri reali, è definita su tutto meno il punto . Se considerata sui numeri complessi, è definita su tutto meno le tre radici cubiche dell’unità
-
Per comodità, nella discussione che segue si suppone che i polinomi e non abbiano radici in comune.
Una funzione è irrazionale quando la variabile indipendente figura sotto segno di radice:
-
se l’indice è pari il radicando deve essere positivo o nullo: il dominio è costituito da tutti i numeri reali diversi da quelli che rendono il radicando negativo;
-
se l’indice è dispari il radicando può essere anche negativo: il dominio è costituito dall’insieme dei numeri reali.
L’espressione “funzione razionale” è anche usata per descrivere un rapporto fra polinomi con più variabili, come ad esempio:
-
Come sopra, la funzione è definita su tutti i punti di (dove è il numero di variabili) per cui il denominatore non si annulla. Tale insieme non è però generalmente un numero finito di punti: si tratta di una più generale varietà affine.
Asintoti
La funzione razionale
ha due asintoti verticali ed uno obliquo.
Se considerata sui numeri reali, una funzione razionale può avere asintoti, che possono essere agevolmente individuati nel modo seguente.
-
Asintoti orizzontali: sono presenti se e solo se il grado di è maggiore o uguale al grado di . Se hanno lo stesso grado l’asintoto orizzontale è la retta , dove è uguale al rapporto tra il coefficiente del termine di grado massimo di e il coefficiente del termine di grado massimo di , altrimenti l’asintoto è la retta . Questo è infatti il limite della funzione per . Quando il grado di è maggiore del grado di il limite è infinito.
-
Asintoti obliqui: sono presenti se e solo se il grado di è pari a quello di più uno. Il coefficiente angolare dell’asintoto è pari al rapporto fra i coefficienti dei termini di grado massimo dei due polinomi.
Poli
Se considerata sui numeri complessi, una funzione razionale presenta un polo su ogni radice di , di ordine pari all’ordine della radice. Una funzione razionale è quindi una particolare funzione meromorfa definita sulla sfera di Riemann . Tra queste, le trasformazioni di Möbius:
-
Decomposizione in fratti semplici
La decomposizione in fratti semplici di una funzione razionale è la scrittura della frazione tramite un polinomio (che può essere nullo) sommato ad una o più frazioni con un denominatore più semplice.
Tale metodo fornisce un algoritmo che consente di valutare le primitive di una funzione razionale.
Per illustrare l’idea del procedimento, sia data una funzione razionale , in cui e sono polinomi, e si consideri la fattorizzazione : del denominatore.
Per ogni fattore che ha la forma : si considerano le frazioni , mentre per ogni fattore che ha la forma : si considerano le frazioni:
Si ottiene così la scrittura:
e calcolando i coefficienti e si trova una decomposizione che consente, analizzandone ogni singolo termine, di integrare la frazione di partenza.
Essa conduce quindi ad un’espressione del tipo:
-
dove e sono polinomi di grado inferiore rispetto a e .
Se si applica la decomposizione fin dove è possibile si ottiene che il denominatore di ogni termine è una potenza di un polinomio non fattorizzabile e il numeratore è un polinomio di grado inferiore di quello del polinomio non fattorizzabile.°°°°°Funzione differenziabile
In matematica, in particolare in analisi matematica e geometria differenziale, una funzione differenziabile in un punto è una funzione che può essere approssimata a meno di un resto infinitesimo da una trasformazione lineare in un intorno abbastanza piccolo di quel punto. Affinché ciò si verifichi è necessario che tutte le derivate parziali calcolate nel punto esistano, cioè se è differenziabile allora è derivabile nel punto poiché esistono e sono finiti i limiti dei rapporti incrementali direzionali. Il concetto di differenziabilità permette di generalizzare il concetto di funzione derivabile a funzioni vettoriali di variabile vettoriale, e la differenziabilità di una funzione permette di individuare per ogni punto del suo grafico un iperpiano tangente.Una funzione può essere differenziabile volte, e si parla in questo caso di funzione di classe . Una funzione differenziabile infinite volte è inoltre detta liscia. Nell’analisi funzionale le distinzioni fra le varie classi sono molto importanti, mentre in altri settori della matematica queste differenze sono meno tenute in considerazione, e spesso si usa impropriamente il termine “funzione differenziabile” per definire una funzione liscia.Definizione
Una funzione da
in
è
derivabile in un punto se è approssimabile vicino a quel punto da una retta. Tale retta deve quindi essere tangente al
grafico della funzione. Questa nozione si estende in dimensioni arbitrarie, e prende il nome di
funzione differenziabile.
Una funzione:
definita su un insieme aperto dello spazio euclideo è detta differenziabile in un punto del dominio se esiste una applicazione lineare:
tale che valga l’approssimazione:
dove si annulla, con ordine di infinitesimo maggiore di 1, all’annullarsi dell’incremento . Tale condizione si può scrivere in modo equivalente:
Se la funzione è differenziabile in , l’applicazione è rappresentata dalla matrice jacobiana .Il vettore:
si chiama differenziale (esatto) di in ed viene detto derivata o anche derivata totale della funzione .La funzione è infine differenziabile se lo è in ogni punto del dominio.[2] In particolare, il teorema del differenziale totale afferma che una funzione è differenziabile in un punto se tutte le derivate parziali esistono in un intorno del punto per ogni componente della funzione e se sono inoltre funzioni continue. Se inoltre l’applicazione che associa a è continua, la funzione si dice differenziabile con continuità.Nel caso di una funzione di una variabile definita su un intervallo aperto dell’asse reale, essa è detta differenziabile in se esiste un’applicazione lineare tale che:
ed in tal caso si ha:
- °°°°°
Matrice jacobianaSe una funzione è differenziabile in un punto allora tutte le derivate parziali calcolate nel punto esistono, ma non vale il viceversa. Tuttavia, se tutte le derivate parziali esistono e sono continue in un intorno del punto allora la funzione è differenziabile nel punto, ovvero è di classe .Dette e le basi canoniche di e rispettivamente, si ha:
L’applicazione lineare è quindi rappresentata nelle basi canoniche da una matrice , detta matrice jacobiana di in .Il -esimo vettore colonna della matrice jacobiana è dato dalla precedente relazione, e si ha:[5]
A seconda delle dimensioni e , il jacobiano ha diverse interpretazioni geometriche:
- Se , la matrice jacobiana si riduce ad un vettore -dimensionale, chiamato gradiente di in . In tal caso si ha:
- Il gradiente indica la direzione di “massima pendenza” del grafico della funzione nel punto.
- Se , la funzione parametrizza una curva in , il suo differenziale è una funzione che definisce la direzione della retta tangente alla curva nel punto.
- Se , la condizione di differenziabilità coincide con la condizione di derivabilità.
- La matrice jacobiana si riduce ad un numero, pari alla derivata.
Differenziabilità in analisi complessaSia un sottoinsieme aperto del piano complesso . Una funzione è differenziabile in senso complesso (-differenziabile) in un punto di se esiste il limite:
Il limite va inteso in relazione alla topologia del piano. In altre parole, per ogni successione di numeri complessi che convergono a il rapporto incrementale deve tendere allo stesso numero, indicato con . Se è differenziabile in senso complesso in ogni punto di , essa è una funzione olomorfa su . Si dice inoltre che è olomorfa nel punto se è olomorfa in qualche intorno del punto, e che è olomorfa in un insieme non aperto se è olomorfa in un aperto contenente .
La relazione tra la differenziabilità di funzioni reali e funzioni complesse è data dal fatto che se una funzione complessa è olomorfa allora e possiedono derivata parziale prima rispetto a e e soddisfano le equazioni di Cauchy-Riemann:
In modo equivalente, la derivata di Wirtinger di rispetto al complesso coniugato di è nulla.
Proprietà delle funzioni differenziabili
- Una funzione differenziabile in un punto è continua in . Infatti:
-
- per la definizione data di funzione differenziabile e per la continuità delle funzioni lineari.
- Se è una funzione differenziabile in , allora essa ammette tutte le derivate parziali in . Viceversa non è sempre vero che l’esistenza delle derivate parziali in un punto garantisca anche la differenziabilità nel punto. Ad esempio, la funzione reale di due variabili reali:
-
- ammette derivate parziali ovunque, ma il fatto che in la funzione non sia continua impedisce la sua differenziabilità in .
- Tuttavia, se è di classe in un intorno di , cioè se esistono tutte le derivate parziali di e queste sono funzioni continue, allora è differenziabile in . Vale quindi, se è aperto, che implica la differenziabilità in che implica a sua volta che .
ApprossimazioniDa un punto di vista informale, una funzione differenziabile è una funzione tale da apparire sempre più simile ad una trasformazione affine quando viene vista ad ingrandimenti sempre maggiori. La trasformazione affine che approssima in un intorno di è la funzione:
- .
Per verificarlo, si consideri un intorno di di raggio .
Se si effettua uno zoom sul grafico di in modo che l’intorno ci appaia di raggio , la distanza che si vede tra la funzione e la funzione affine che la approssima in corrispondenza del punto è pari a:
dove la divisione per corrisponde al riscalamento dovuto allo “zoom” che si sta operando sull’intorno. Quindi la massima distanza che si vede nell’intorno riscalato è:
- ,
ora si può dimostrare che dalla definizione di differenziabilità di si deduce che:
- ,
il che significa che quello che si osserva ingrandendo progressivamente il grafico di e della sua approssimazione affine intorno a è che questi tendono a coincidere. Viceversa, la relazione implica direttamente la differenziabilità di .
°°°°°
Funzione liscia
In matematica, una funzione liscia in un punto del suo dominio è una funzione che è differenziabile infinite volte nel punto, o equivalentemente, che è derivabile infinite volte nel punto rispetto ad ogni sua variabile (per il teorema del differenziale infatti, una funzione è differenziabile in un punto se le sue derivate parziali sono ivi continue). Se una funzione è liscia in tutti i punti di un insieme , si dice che essa è di classe su , e si scrive .
Funzioni lisce e funzioni analitiche nel caso reale
Sia una funzione reale di variabile reale definita su un dominio , e si supponga che sia liscia sull’intervallo aperto . Preso allora un punto , è possibile approssimare la funzione attorno a quel punto grazie al teorema di Taylor:
dove la quantità è un resto tale che:
Poiché la funzione è liscia, questa approssimazione vale per ogni . In particolare, è possibile valutare la serie di Taylor della funzione prendendo il limite per :
A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, questa serie in generale non converge a : se la convergenza (puntuale) è verificata, si dice che è analitica in , e se è l’insieme dei punti in cui è analitica si scrive . Poiché ogni funzione analitica è in particolare liscia, vale la relazione insiemistica:
Un discorso analogo può essere fatto per le funzioni a più variabili reali.
Funzioni lisce complesse
Nel caso di funzioni complesse di variabile complessa, la liscezza in un punto (o su un insieme) discende direttamente dall’olomorfia della funzione in tale punto (o su tale insieme). Per tale motivo si parla indifferentemente di “liscezza” o di “derivabilità” di una funzione complessa. In effetti, è possibile dimostrare che una funzione complessa olomorfa su un dominio è ivi addirittura analitica (vedi Equazioni di Cauchy-Riemann).
Definizione per le varietà differenziabili
Siano e varietà differenziabili e un punto di . Una funzione è detta differenziabile in (oppure liscia o di classe in ) se esistono una carta in ed una carta in tali che e la composizione:
sia liscia in un intorno di . Tale definizione non dipende dalle carte scelte: prendendo infatti altre carte e la composizione rimane liscia in un intorno di .
è differenziabile (liscia, di classe ) se lo è per ogni in . Se inoltre è invertibile con inversa liscia allora si dirà un diffeomorfismo. Lo studio delle proprietà invarianti per diffeomorfismi è oggetto della topologia differenziale.
Costruire funzioni lisce tramite restrizioni
È spesso utile costruire funzioni lisce che sono nulle al di fuori di un dato intervallo, ma non all’interno dello stesso (funzioni a supporto compatto). Tale proprietà non si può mai avere per una serie di potenze[1], il che fornisce un’ulteriore dimostrazione del divario tra le funzioni lisce e funzioni analitiche.
°°°°°
Funzione analitica
In matematica, una funzione analitica è una funzione localmente espressa da una serie di potenze convergente. Spesso il termine “funzione analitica” è utilizzato come sinonimo di funzione olomorfa, sebbene quest’ultimo si utilizzi più spesso per le funzioni complesse (tutte le funzioni olomorfe sono funzioni analitiche complesse e viceversa).[1] Una funzione è analitica se e solo se, preso comunque un punto appartenente al dominio della funzione, esiste un suo intorno in cui la funzione coincide col suo sviluppo in serie di Taylor.
Le funzioni analitiche possono essere viste come un ponte fra i polinomi e le funzioni generiche. Esistono le funzioni analitiche reali e le funzioni analitiche complesse: simili in alcuni aspetti, differenti in altri. Funzioni di questo tipo sono infinitamente derivabili, ma le funzioni analitiche complesse esibiscono proprietà che generalmente non appartengono alle funzioni analitiche reali.
DefinizioneUna funzione è analitica su un insieme aperto della retta reale se per ogni in si può scrivere come:[2]
dove i coefficienti sono numeri reali e la serie è convergente in un intorno di .
In alternativa, una funzione analitica è una funzione infinitamente derivabile, ossia una funzione liscia, tale che la sua serie di Taylor
in ogni punto appartenente al dominio, converge a per in un intorno di .
L’insieme di tutte le funzioni analitiche reali appartenenti ad un dato insieme si denota di solito come .
Una funzione definita in un qualche sottoinsieme della retta reale, si dice essere reale analitica al punto se esiste un intorno di nel quale è reale analitica.
La definizione di funzione analitica complessa è ottenuta sostituendo dappertutto “reale” con “complesso.
Proprietà delle funzioni analiticheTra le principali proprietà che caratterizzano le funzioni analitiche ci sono le seguenti:
- La somma, il prodotto e la composizione di funzioni analitiche sono analitiche.
- Il reciproco di una funzione analitica che non si annulla mai, è analitico, così come l’inversa di una funzione analitica invertibile la cui derivata non è mai nulla.
- Tutti i polinomi sono funzioni analitiche. Per un polinomio, l’espansione in serie di potenze contiene solo un numero finito di termini non nulli.
- Tutte le funzioni analitiche sono lisce.
Un polinomio non può valere zero in troppi punti a meno che non sia il polinomio nullo (più precisamente, il numero di zeri è al massimo pari al grado del polinomio). Un’affermazione simile ma più debole vale per le funzioni analitiche. Se l’insieme degli zeri di una funzione analitica ha un punto di accumulazione all’interno del suo dominio, allora è nulla su tutta la componente connessa del dominio che contiene il punto di accumulazione.
Più formalmente questa affermazione può essere espressa nel modo seguente. Se è una successione di numeri distinti tale che per ogni e questa successione converge a un punto nel dominio , allora è identicamente zero nella componente connessa di contenente . Inoltre, se tutte le derivate di una funzione analitica sono nulle in un punto, vale ancora la conclusione precedente.
Queste affermazioni implicano che le funzioni analitiche siano ancora abbastanza rigide, nonostante il loro maggior numero di gradi di libertà rispetto ai polinomi.
Analiticità e derivabilità
Tutte le funzioni analitiche (reali o complesse) in un punto sono infinitamente derivabili in , dove è il raggio di convergenza della serie. Inoltre, si dimostra che nella stessa regione la derivata della funzione coincide con la serie delle derivate (la serie derivata), ovvero se:
allora:
Allo stesso modo, essendo il limite uniforme di una successione di funzioni continue (polinomi), ogni funzione analitica è continua (e quindi integrabile) su tutto il suo insieme di convergenza, e la sua primitiva è la serie primitiva. In altre parole, se:
si ha:
Non tutte le funzioni reali lisce sono analitiche; ad esempio la funzione definita come:
è liscia in ma non è analitica in 0. Questo può essere espresso dall’implicazione (non invertibile):
- .
La situazione è molto diversa nel caso delle funzioni analitiche complesse. Si può dimostrare che tutte le funzioni olomorfe su un insieme aperto sono analitiche. Di conseguenza, in analisi complessa, il termine “funzione analitica” è un sinonimo di funzione olomorfa.
Condizione sufficiente
Se una funzione reale di variabile reale liscia definita su un aperto ha tutte le derivate maggiorabili dai termini di una successione geometrica (di ragione fissata) su un intorno di un dato punto, allora la funzione è analitica in quell’intorno. Formalmente, sia ed appartenente a e sia . Se esistono tali che:
allora:
In particolare, se una funzione ha tutte le derivate limitate da una stessa costante su un intervallo, allora è ivi analitica (basta porre nell’enunciato precedente). Questo mostra che funzioni come seno, coseno, esponenziale[3], funzioni iperboliche possono essere espresse in termini di serie di potenze sull’intero asse reale:
Dimostrazione
Dato che la funzione è liscia, è possibile scriverne la formula di Taylor arrestata all’ordine (resto secondo Lagrange):
Se si muove nell’intorno di di raggio si può usare la maggiorazione (in valore assoluto) garantita dall’ipotesi:
cioè la serie converge puntualmente a sull’intervallo , Q.E.D.
Funzioni analitiche in più variabili
Si possono definire le funzioni analitiche in più variabili tramite le serie di potenze in queste variabili. Le funzioni analitiche in più variabili hanno alcune delle proprietà delle funzioni analitiche a una variabile. Comunque, soprattutto nel caso delle funzioni analitiche complesse, si trovano nuovi e interessanti fenomeni in più dimensioni.
°°°°°
Funzione olomorfa
In matematica, una funzione olomorfa (composizione delle parole greche “holos”, tutto e “morphos“, forma; in riferimento alla capacità della derivata di rimanere uguale a sé stessa nelle trasformazioni[1]) è una funzione definita su un sottoinsieme aperto del piano dei numeri complessi con valori in che è differenziabile in senso complesso in ogni punto del dominio. Le funzioni olomorfe sono tra gli oggetti principali dell’analisi complessa. Possono essere scritte ovunque come serie di potenze convergenti ovvero sono analitiche, ed il termine “funzione analitica” è utilizzato come sinonimo di funzione olomorfa.[2]
La differenziabilità in senso complesso di una funzione complessa è una condizione molto più stringente della differenziabilità reale in quanto implica che la funzione sia infinite volte differenziabile e che possa essere completamente individuata dalla sua serie di Taylor. In alcuni testi le funzioni olomorfe (e le loro derivate) definite su un aperto sono dette funzioni analitiche.
In tale contesto si definisce biolomorfismo fra due insiemi aperti di una funzione olomorfa che sia iniettiva, suriettiva, e la cui inversa è anch’essa olomorfa.
Definizione
Sia un sottoinsieme aperto del piano complesso . Una funzione è differenziabile in senso complesso (-differenziabile) in un punto di se esiste il limite:[3]
Il limite va inteso in relazione alla topologia del piano. In altre parole, per ogni successione di numeri complessi che convergono a il rapporto incrementale deve tendere allo stesso numero, indicato con .
La funzione è olomorfa in se è differenziabile in senso complesso in ogni punto dell’aperto . Si dice inoltre che è olomorfa nel punto se è olomorfa in qualche intorno del punto e più in generale che è olomorfa in un insieme non aperto se è olomorfa in un aperto contenente .
Equazioni di Cauchy-Riemann
La relazione tra la differenziabilità di funzioni reali e funzioni complesse è data dal fatto che se una funzione complessa
è olomorfa allora e possiedono derivate parziali prime rispetto a e , e tali derivate soddisfano le equazioni di Cauchy-Riemann:
In modo equivalente, la derivata di Wirtinger di rispetto al complesso coniugato di è nulla.
Proprietà di baseRelazione con la differenziabilità
Tramite l’identificazione standard di con , una funzione olomorfa è in particolare una funzione differenziabile da un aperto di in . Non è però vero l’opposto: una funzione differenziabile non è necessariamente olomorfa. Le equazioni di Cauchy-Riemann descrivono una condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione differenziabile sia olomorfa.
Operazioni
Le usuali regole di derivazione definite solitamente in ambito reale restano valide nel campo complesso.[3]
Mappa conforme
Lo stesso argomento in dettaglio:
Mappa conforme e Immagini conformi.
Una funzione olomorfa avente derivata sempre diversa da zero è una mappa conforme, una mappa che non cambia gli angoli (ma può cambiare aree e lunghezze).
Infatti una funzione olomorfa con derivata non nulla è una funzione localmente approssimabile da una funzione lineare complessa del tipo
-
per qualche numero complesso . Le mappe lineari di questo tipo sono conformi; infatti, scrivendo , si ottiene
-
e quindi la moltiplicazione per è geometricamente la composizione di una rotazione di angolo e di una omotetia di fattore : entrambe queste operazioni sono mappe conformi.
Esempi Funzioni intere
Lo stesso argomento in dettaglio:
Funzioni intere.Tutte le funzioni polinomiali nella variabile complessa con coefficienti complessi sono olomorfe sull’intero , cioè sono funzioni intere.
Sono funzioni intere anche la funzione esponenziale complessa e le funzioni trigonometriche nella . (In effetti le funzioni trigonometriche sono esprimibili come composizioni di varianti della funzione esponenziale attraverso la formula di Eulero).
Funzioni non intere
La funzione è olomorfa sul piano complesso privato dell’origine:
Il ramo principale della funzione logaritmo è olomorfo sul piano complesso privato del semiasse reale negativo:
La funzione radice quadrata può essere definita come
e di conseguenza è olomorfa in tutti i punti del piano complesso nei quali lo è la funzione logaritmo.
Funzioni non olomorfeGli esempi base di funzioni complesse non olomorfe sono la coniugazione complessa, il passaggio alla parte reale e la funzione valore assoluto.
Lo stesso argomento in dettaglio:
Teorema di Liouville (analisi complessa).
Il teorema di Liouville asserisce che se una funzione intera ha modulo limitato su tutto il piano complesso allora è costante.
Funzioni olomorfe in più variabiliUna funzione complessa di più variabili è una funzione del tipo
definita su un aperto di . Questa è olomorfa in un punto se è localmente sviluppabile (all’interno di un polidisco, cioè all’interno di un prodotto cartesiano di dischi centrato nel punto) come serie di potenze convergente. Si osserva che questa condizione è più forte delle equazioni di Cauchy-Riemann; in effetti essa può essere espressa nella forma seguente:
Una funzione di più variabili complesse a valori complessi è olomorfa se e solo se soddisfa le equazioni di Cauchy-Riemann ed è localmente a quadrato sommabile.
Esempi
-
- è meromorfa sull’intero piano complesso.
-
- come pure la funzione gamma e la funzione zeta di Riemann, sono meromorfe sull’intero piano complesso.
-
- è definita sull’intero piano complesso ad esclusione dell’origine. Il punto 0, tuttavia, non è un polo della funzione, ma una sua singolarità essenziale. Quindi essa non è meromorfa sull’intero piano complesso; essa è invece meromorfa (e in particolare olomorfa) sul cosiddetto piano complesso forato nell’origine .
Cenni storici
L’idea di base del concetto di integrale era nota ad Archimede di Siracusa, vissuto tra il 287 e il 212 a.C., ed era contenuta nel metodo da lui usato per il calcolo dell’area del cerchio o dell’area sottesa al segmento di un ramo di parabola, detto metodo di esaustione, già proposta da Eudosso di Cnido.
Qual è l’integrale (animazione)
La definizione di integrale per le funzioni continue in un intervallo venne inizialmente formulata da Augustin-Louis Cauchy, che a partire dal lavoro di Mengoli, descrisse l’integrale utilizzando la definizione di limite.
In seguito Bernhard Riemann propose la sua definizione, in modo da comprendere classi più estese di funzioni. Nel 1875, Gaston Darboux riformulò la definizione già individuata da Cauchy in modo da evitare l’uso di limiti e dimostrando che era del tutto equivalente alla definizione data da Riemann.
Per questo motivo spesso si parla di integrale di Riemann-Darboux. Allo scopo di comprendere una classe molto più estesa di funzioni, Henri Lebesgue produsse una definizione di integrale più complessa, attraverso l’introduzione della teoria della misura.
In seguito Thomas Stieltjes fu in grado di generalizzare l’integrale di Riemann introducendo il concetto di funzione integratrice e, con un procedimento del tutto analogo, Johann Radon generalizzò l’integrale di Lebesgue.
Una definizione d’integrale alternativa a quella di Lebesgue-Radon venne fornita da Percy J. Daniell, che la ricavò a partire dall’integrale di Riemann-Stieltjes.
Introduzione euristica
Si consideri una funzione reale di variabile reale limitata e definita su un intervallo sull’asse delle ascisse.
Quando si procede a calcolare l’integrale di su , allora è detta funzione integranda e l’intervallo è detto intervallo di integrazione e gli estremi e sono detti estremi di integrazione.
La figura che ha per bordi il grafico di , l’asse delle ascisse e i segmenti verticali condotti dagli estremi dell’intervallo di integrazione agli estremi del grafico della funzione è detta trapezoide.
Il valore dell’integrale della funzione calcolato sull’intervallo di integrazione è uguale all’area (con segno) del trapezoide, cioè il numero reale che esprime tale area orientata viene chiamato integrale (definito) della funzione esteso all’intervallo di integrazione.
Con il termine “integrale” o “operatore integrale” si indica anche l’operazione stessa che associa il valore dell’area orientata alla funzione.
Sono stati ideati diversi modi per definire in modo rigoroso l’integrale; a seconda della procedura adottata cambia anche l’insieme delle funzioni che è possibile misurare con un integrale.
Un metodo è quello di “approssimare” il grafico della funzione con una linea costituita da uno o più segmenti, in modo che la figura si può scomporre in uno o più trapezi di cui è facile calcolare l’area: la somma algebrica delle aree di tutti i trapezi è allora l’integrale cercato.
Un tale approccio è utilizzato per definire l’integrale di Riemann, in cui il calcolo dell’area viene eseguito suddividendo la figura in sottili strisce verticali ottenendo così dei rettangoli. Nello specifico, dividendo un intervallo di integrazione in intervalli del tipo , per , e con e , per ciascun intervallo si può considerare un punto la cui immagine è . Si costruisce allora il rettangolo che ha per base l’intervallo e per altezza .
La figura costituita da tutti i rettangoli così costruiti è detta plurirettangolo e l’area del plurirettangolo è detta somma integrale di Cauchy o somma integrale di Riemann-Darboux:
Se al diminuire dell’ampiezza degli intervalli i valori così ottenuti si concentrano in un intorno sempre più piccolo di un numero , la funzione è integrabile sull’intervallo e è il valore del suo integrale.
Se la funzione integrabile è positiva allora l’integrale assume il significato di area della regione:
-
Se la funzione cambia segno su allora l’integrale rappresenta una somma di aree con segno diverso.
Definizione
La prima definizione rigorosa a essere stata formulata di integrale di una funzione su un intervallo è l’integrale di Riemann, formulato da Bernhard Riemann, anche se per definirlo si preferisce utilizzare la formulazione data da Gaston Darboux.
L’integrale di Lebesgue consente di integrare una più vasta classe di funzioni rispetto all’integrale di Riemann.
Per mostrare la relazione tra i due integrali è necessario utilizzare la classe delle funzioni continue a supporto compatto, per le quali l’integrale di Riemann esiste sempre.
Siano e due funzioni continue a supporto compatto su .
Si può definire la loro distanza nel seguente modo:
Munito della funzione distanza, lo spazio delle funzioni continue a supporto compatto è uno spazio metrico.
Il completamento di tale spazio metrico è l’insieme delle funzioni integrabili secondo Lebesgue.
In letteratura esistono diversi altri operatori di integrazione, tuttavia essi godono di minore diffusione rispetto a quelli di Riemann e Lebesgue.
Integrale di Riemann-Darboux
Lo stesso argomento in dettaglio:
Integrale di Riemann e Integrale di Darboux.
Sia l’insieme delle funzioni limitate e continue a tratti sull’intervallo , e tali da essere continue da destra:
-
La norma di tali funzioni può essere definita come:
-
Sia una partizione di e la funzione indicatrice dell’i-esimo intervallo della partizione .
L’insieme delle possibili partizioni dell’intervallo costituisce uno spazio vettoriale normato, con norma data da:
-
L’insieme è denso in . Si definisce la trasformazione lineare limitata nel seguente modo:
Si dimostra che un operatore lineare limitato che mappa uno spazio vettoriale normato in uno spazio normato completo può essere sempre esteso in modo unico a un operatore lineare limitato che mappa il completamento dello spazio di partenza nel medesimo spazio di arrivo.
Poiché i numeri reali costituiscono un insieme completo, l’operatore può quindi essere esteso a un operatore che mappa il completamento di in .
Si definisce integrale di Riemann-Darboux l’operatore , e si indica con:
Integrale di Lebesgue
Sia una misura su una sigma-algebra di sottoinsiemi di un insieme . Ad esempio, può essere un n-spazio euclideo o un qualche suo sottoinsieme Lebesgue-misurabile, la sigma-algebra di tutti i sottoinsiemi Lebesgue-misurabili di e la misura di Lebesgue.
Nella teoria di Lebesgue gli integrali sono limitati a una classe di funzioni, chiamate funzioni misurabili. Una funzione è misurabile se la controimmagine di ogni insieme aperto del codominio è in , ossia se è un insieme misurabile di per ogni aperto .
L’insieme delle funzioni misurabili è chiuso rispetto alle operazioni algebriche, e in particolare la classe è chiusa rispetto a vari tipi di limiti puntuali di successioni.
Allora:
-
L’integrale di Lebesgue di una funzione semplice è definito nel seguente modo:
Sia una funzione misurabile non negativa su a valori sulla retta reale estesa. L’integrale di Lebesgue di sull’insieme rispetto alla misura è definito nel seguente modo:
dove l’estremo superiore è valutato considerando tutte le funzioni semplici tali che . Il valore dell’integrale è un numero nell’intervallo .
L’insieme delle funzioni tali che:
è detto insieme delle funzioni integrabili su secondo Lebesgue rispetto alla misura , o anche insieme delle funzioni sommabili, ed è denotato con .
Anche l’integrale di Lebesgue è un funzionale lineare, e considerando una funzione definita su un intervallo il teorema di Riesz permette di affermare che per ogni funzionale lineare su è associata una misura di Borel finita su tale che:[9]
-
In questo modo il valore del funzionale dipende con continuità dalla lunghezza dell’intervallo di integrazione.
Integrale in più variabili
Lo stesso argomento in dettaglio:
Integrale multiplo.
Sia un vettore nel campo reale. Un insieme del tipo:
-
è detto -cella. Sia definita su una funzione continua a valori reali, e si definisca:
-
Tale funzione è definita su ed è a sua volta continua a causa della continuità di . Iterando il procedimento si ottiene una classe di funzioni continue su che sono il risultato dell’integrale di rispetto alla variabile sull’intervallo . Dopo volte si ottiene il numero:
Si tratta dell’integrale di su rispetto a , e non dipende dall’ordine con il quale vengono eseguite le integrazioni.
In particolare, sia . Allora si ha:
Inoltre, sia una funzione a supporto compatto e si ponga che contenga il supporto di . Allora è possibile scrivere:
Nell’ambito della teoria dell’integrale di Lebesgue è possibile estendere questa definizione a insiemi di funzioni più ampi.
Una proprietà di notevole importanza dell’integrale di una funzione in più variabili è la seguente.
Siano:
Allora si ha:
L’integrando ha un supporto compatto grazie all’invertibilità di , dovuta all’ipotesi per ogni che garantisce la continuità di in per il teorema della funzione inversa.
Integrale curvilineo
Lo stesso argomento in dettaglio:
Integrale di linea e Integrale di superficie.
Dato un campo scalare , si definisce l’integrale di linea (di prima specie) su una curva , parametrizzata da , con , come:[10]
dove il termine indica che l’integrale è effettuato su un’ascissa curvilinea. Se il dominio della funzione è , l’integrale curvilineo si riduce al comune integrale di Riemann valutato nell’intervallo . Alla famiglia degli integrali di linea appartengono anche gli integrali ellittici di prima e di seconda specie, questi ultimi impiegati anche in ambito statistico per il calcolo della lunghezza della curva di Lorenz.
Similmente, per un campo vettoriale , l’integrale di linea (di seconda specie) lungo una curva , parametrizzata da con , è definito da:[11]
Continuità e integrabilità
Lo stesso argomento in dettaglio:
Funzione integrabile.
Una condizione sufficiente ai fini dell’integrabilità è che una funzione definita su un intervallo chiuso e limitato sia continua: una funzione continua definita su un compatto, e quindi continua uniformemente per il teorema di Heine-Cantor, è integrabile.
Dimostrazione |
Si suddivida l’intervallo in sottointervalli di uguale ampiezza:
Si scelga in ogni intervallo un punto interno a e si definisce la somma integrale:
Ponendo e il massimo e il minimo di in ogni intervallo si costruiscono quindi le somme:
All’aumentare di , si ha che diminuisce e cresce. Essendo allora le due successioni monotone, esse ammettono un limite, il quale è finito. Sia ora:
Si ha che:
Per il teorema di esistenza del limite di successioni monotone risulta e , con . All’affinarsi della partizione di risulta , infatti è possibile fissare un piccolo a piacere e un numero di suddivisioni della partizione sufficientemente grande da far risultare:
poiché per la continuità uniforme di si ha:
Cioè, per un numero di suddivisioni abbastanza elevato:
Per il teorema del confronto delle successioni si ha:
ossia:
da cui, data l’arbitrarietà del fattore , risulta che con il passaggio al limite la differenza tra le somme integrali massimante e minimante tende a zero. Da questo segue che:
In definitiva, essendo:
per il teorema del confronto risulta , da cui si deduce che se la funzione integranda è continua su un compatto allora l’operazione di integrazione non dipende dalla scelta dei punti interni agli intervalli , ovvero la funzione è integrabile. |
Assoluta integrabilità
Una funzione si dice assolutamente integrabile su un intervallo aperto del tipo se su tale intervallo è integrabile . Non tutte le funzioni integrabili sono assolutamente integrabili: un esempio di funzione di questo tipo è . Viceversa, il teorema sull’esistenza degli integrali impropri all’infinito garantisce che una funzione assolutamente integrabile sia integrabile su un intervallo del tipo .
Teorema di Vitali-Lebesgue
Il teorema di Vitali-Lebesgue è un teorema che consente di individuare le funzioni definite su uno spazio che siano integrabili secondo Riemann. Fu dimostrato nel 1907 dal matematico italiano Giuseppe Vitali contemporaneamente e indipendentemente con il matematico francese Henri Lebesgue.
Data una funzione su che sia limitata e nulla al di fuori di un sottoinsieme limitato di , essa è integrabile secondo Riemann se e solo se è trascurabile l’insieme dei suoi punti di discontinuità. Se si verifica questo, la funzione è anche integrabile secondo Lebesgue e i due integrali coincidono. Nel caso in cui l’enunciato assume la seguente forma: una funzione limitata in un intervallo è ivi integrabile secondo Riemann se e solo se l’insieme dei suoi punti di discontinuità è di misura nulla rispetto alla misura di Lebesgue
Calcolo differenziale e calcolo integrale
Il teorema fondamentale del calcolo integrale, grazie agli studi e alle intuizioni di Leibniz, Newton, Torricelli e Barrow, stabilisce la relazione esistente tra calcolo differenziale e calcolo integrale.
Esso è generalizzato dal fondamentale teorema di Stokes.
Funzioni primitive
Il problema inverso a quello della derivazione consiste nella ricerca di tutte le funzioni la cui derivata sia uguale a una funzione assegnata. Questo problema è noto come ricerca delle primitive di una funzione. Nel caso in cui sia una primitiva di (cioè se ) allora, poiché la derivata di una funzione costante è nulla, anche una qualunque funzione del tipo:
che differisca da per una costante arbitraria , risulta essere primitiva di . Infatti:
Quindi, se una funzione ammette primitiva allora esiste un’intera classe di primitive del tipo:
Viceversa, tutte le primitive di sono della forma .
Integrale indefinito
La totalità delle primitive di una funzione si chiama integrale indefinito di tale funzione. Il simbolo:
-
denota l’integrale indefinito della funzione rispetto a . La funzione è detta anche in questo caso funzione integranda. In un certo senso (non formale), si può vedere l’integrale indefinito come “l’operazione inversa della derivata”. Tuttavia, da un punto di vista formale, la derivazione non è iniettiva e quindi non è invertibile e l’operatore integrale restituisce l’insieme delle primitive che o è vuoto oppure contiene infiniti elementi.
Ogni funzione continua in un intervallo ammette sempre integrale indefinito, ma non è detto che sia derivabile in ogni suo punto. Se è una funzione definita in un intervallo nel quale ammette una primitiva allora l’integrale indefinito di è:
dove è una generica costante reale.
Funzione integrale
Sia una funzione definita su un intervallo . Se la funzione è integrabile su ogni intervallo chiuso e limitato contenuto in , al variare dell’intervallo varia il valore dell’integrale. Si ponga , dove è fissato e l’altro estremo è variabile: l’integrale di su diventa allora una funzione di . Tale funzione si dice funzione integrale di o integrale di Torricelli, e si indica con:
La variabile di integrazione è detta variabile muta, e varia tra e .
Teorema fondamentale del calcolo integrale
Lo stesso argomento in dettaglio:
Teorema fondamentale del calcolo integrale.
La prima parte del teorema è detta primo teorema fondamentale del calcolo, afferma che la funzione integrale (come sopra definita)
è una primitiva della funzione di partenza.
Cioè
La seconda parte del teorema è detta secondo teorema fondamentale del calcolo, e consente di calcolare l’integrale definito di una funzione attraverso una delle sue primitive.
e tale relazione è detta formula fondamentale del calcolo integrale.
Lemma di derivazione degli integrali
Sia un intervallo, funzione di classe in e curve di classe . Sia la funzione integrale di classe definita come:
Proprietà degli integrali
Di seguito si riportano le proprietà principali dell’operatore integrale.
Linearità
Siano e due funzioni continue definite in un intervallo e siano . Allora:
Dimostrazione |
Infatti, dalla definizione si ha che:
da cui:
Dalla proprietà distributiva e dal fatto che il limite della somma coincide con la somma dei limiti si ha:
da cui discende la proprietà di linearità. |
Additività
Sia continua e definita in un intervallo e sia . Allora:
Monotonia (o teorema del confronto)
Siano e due funzioni continue definite in un intervallo e tali che in . Allora:
Valore assoluto
Tale teorema si potrebbe considerare come un corollario del teorema del confronto. Se è integrabile in un intervallo si ha:
Teorema della media
Lo stesso argomento in dettaglio:
Teorema della media integrale
e
Teorema della media pesata.
Se è continua allora esiste tale che:
Integrale improprio
Lo stesso argomento in dettaglio: Integrale improprio.
Un integrale improprio è un limite della forma:
oppure:
Un integrale è improprio anche nel caso in cui la funzione integranda non è definita in uno o più punti interni del dominio di integrazione.
Metodi di integrazione
Lo stesso argomento in dettaglio:
Metodi di integrazione.
L’integrazione di una funzione reale è un calcolo matematico di non semplice risoluzione generale. Il caso più semplice si ha quando si riconosce la funzione integranda essere la derivata di una funzione nota . In casi più complessi esistono numerosi metodi per trovare la funzione primitiva. In particolare, tra le tecniche più diffuse per la ricerca della primitiva dell’integranda sono queste due:
- se l’integranda è il prodotto di due funzioni, l’integrazione per parti riduce l’integrale alla somma di una funzione e un altro integrale che può ricondursi al caso più semplice descritto sopra in cui l’integranda è la derivata di una funzione nota;
- se l’integranda è trasformazione di una derivata nota attraverso una qualche funzione derivabile, l’integrazione per sostituzione riporta il calcolo all’integrale di quella derivata nota, modificato per un fattore di differenziabilità che dipende dalla trasformazione in gioco.
Stima di somme tramite integrale
Un metodo che consente di ottenere la stima asintotica di una somma è l’approssimazione di una serie tramite il suo integrale. Sia una funzione monotona non decrescente. Allora per ogni e ogni intero si ha:
Infatti, se la proprietà è banale, mentre se si osserva che la funzione è integrabile in ogni intervallo chiuso e limitato di , e che per ogni vale la relazione:
Sommando per si ottiene dalla prima disuguaglianza:
mentre dalla seconda segue che:
Aggiungendo ora e alle due somme precedenti si verifica la relazione.
Altri operatori di integrazioneAccanto agli integrali di Riemann e Lebesgue sono stati introdotti diversi altri operatori integrali. L’integrale di Riemann-Stieltjes è una generalizzazione dell’integrale di Riemann, ed è a sua volta generalizzato dall’integrale di Lebesgue-Stieltjes, che è anche un’estensione dell’integrale di Lebesgue.°°°°°
Integrali di Denjoy, Perron, Henstock e altri
Lo stesso argomento in dettaglio:
Integrale di Denjoy,
Integrale di Perron
e
Integrale di Henstock-Kurzweil.
Sono state sviluppate altre definizioni di integrale, alcune delle quali sono dovute a Denjoy, Perron, Henstock e altri.
I tre nominati condividono la validità del teorema fondamentale del calcolo integrale in una forma più generale rispetto alla trattazione di Riemann e Lebesgue.
Il primo in ordine cronologico a essere introdotto è stato l’integrale di Denjoy, definito per mezzo di una classe di funzioni che generalizza le funzioni assolutamente continue.
Successivamente, solo due anni dopo, Perron ha dato la sua definizione con un metodo che ricorda le funzioni maggioranti e minoranti di Darboux.
In ultimo, Ralph Henstock e (indipendentemente) Jaroslaw Kurzweil forniscono una terza definizione equivalente, detta anche integrale di gauge: essa sfrutta una leggera generalizzazione della definizione di Riemann, la cui semplicità rispetto alle altre due è probabilmente il motivo per cui questo integrale è più noto con il nome del matematico inglese che con quelli di Denjoy e Perron.
Integrale di Henstock-Kurzweil
In analisi matematica, l’integrale di Henstock-Kurzweil è una possibile definizione di integrale per una funzione di variabile reale.
Il concetto è stato introdotto indipendentemente da Ralph Henstock e da Jaroslaw Kurzweil a partire dal 1957.
È noto anche come integrale di gauge o come integrale di Riemann generalizzato, in quanto la sua definizione è portata avanti come generalizzazione di quella dell’integrale di Riemann.
Introduzione storica
Anche dopo la definizione di integrale di Lebesgue, era impossibile affermare la validità generale del secondo teorema fondamentale del calcolo integrale: rimanevano, infatti, alcune funzioni che possedevano primitiva ma che non erano integrabili, neanche su intervalli limitati di ; ciò riguardava ovviamente funzioni con comportamento abbastanza “patologico”, come può essere una funzione che presenta un asintoto verticale in un punto. Il problema non era trascurabile per le sue implicazioni nello studio delle equazioni differenziali.
Il primo a interessarsi della questione fu Arnaud Denjoy, che nel 1912 riuscì a dare una definizione di integrale che soddisfaceva in pieno questo requisito, cioè tale che la seguente affermazione fosse vera:
- Se una funzione è derivabile, allora la sua derivata è integrabile e vale
Questo risultato generalizza infatti i corrispondenti teoremi riguardanti Riemann e Lebesgue perché l’integrabilità della derivata è una tesi, non una ipotesi.
La sua definizione era però particolarmente complicata, perché faceva uso della nozione di induzione transfinita per gestire le singolarità che entravano in gioco.
Solo due anni più tardi, Oskar Perron diede un’altra definizione che risolveva anche il problema dell'”integrabilità delle derivate”. Il suo integrale era dato in termini di funzioni maggioranti e funzioni minoranti, con un linguaggio estremamente diverso da quello di Denjoy, eppure è stato dimostrato che le due definizioni sono equivalenti: ogni funzione Denjoy-integrabile è Perron-integrabile con stesso valore dell’integrale e viceversa.
Negli anni cinquanta, infine, il britannico Ralph Henstock e il ceco Jaroslaw Kurzweil hanno dato, indipendentemente, una nuova definizione di integrale, che sfrutta una leggera generalizzazione della definizione di Riemann.
Anche questa definizione risulta equivalente a quella di Denjoy, ma è formulata in un modo nettamente più familiare e comprensibile delle altre.
Definizione
La definizione originale è data per funzioni definite su intervalli compatti a valori reali. Come per l’integrale di Riemann, si lavora con partizioni dell’intervallo . A differenza di quest’ultimo, però, la scelta dei punti interni ad ogni sottointervallo della partizione non è arbitraria, ma deve soddisfare un’ulteriore ipotesi di regolarità. Infatti saranno ammissibili per formare una somma di Riemann solo partizioni che, insieme con un certo numero di punti di scelta , soddisfano un criterio detto di -finitezza, che si enuncia come
dove è una funzione strettamente positiva definita su . La coppia punti di scelta-sottointervalli si dice per brevità una partizione puntata -fine e la funzione una gauge.
A questo punto si può dire che:
- La funzione ha integrale di Henstock-Kurzweil uguale al valore se per ogni esiste una funzione di gauge tale che ogni partizione puntata di -fine soddisfa
Il primo termine della disuguaglianza sopra è esattamente la somma di Riemann di relativa ai punti e agli intervalli ( rappresenta la misura dell’intervallo ). Notiamo infatti che tale definizione è quasi uguale a quella di Riemann; le differenze si limitano al sostituire una costante positiva con una funzione positiva e la condizione “mesh minore di ” con quella di “-finitezza”.
Questa generalizzazione, che potrebbe sembrare leggera, in realtà è fondamentale, perché corrisponde all’idea di poter definire un per ogni punto di e quindi alla possibilità di approssimare meglio il comportamento della funzione, in zone dove essa abbia un comportamento più “patologico” perché molto oscillatorio, o perché essa presenta un asintoto, mediante partizioni localmente più raffinate.
Osservazione
La definizione si basa sulla proprietà di -finitezza di una partizione puntata, ma l’assenza totale di ipotesi sulla funzione potrebbe far nascere dei dubbi riguardo all’esistenza di partizioni -fini per gauge “bizzarre”.
Fortunatamente un lemma dovuto a Pierre Cousin, addirittura del secolo precedente quindi non collegato alla teoria dell’integrazione, assicura proprio che partizioni -fini esistano per ogni funzione positiva .
La dimostrazione di questo risultato non è banale, perché coinvolge la completezza dei reali, quindi questo può caratterizzarsi come un piccolo punto debole della teoria.
ProprietàCome è stato detto nell’introduzione, questo teorema soddisfa una versione generale del teorema fondamentale del calcolo integrale: se una funzione è derivabile, allora la sua derivata è integrabile e soddisfa la formula fondamentale del calcolo.Ci sono tuttavia altre proprietà interessanti che esso soddisfa: innanzitutto, esso estende l’integrale di Riemann, come è facile capire analizzando la somiglianza delle definizioni.
Molto meno immediato, ma forse più importante, è che l’integrale di Henstock-Kurzweil estende anche l’integrale di Lebesgue, assicurando così una base di funzioni integrabili molto ampia, che include molte funzioni di grande importanza nelle applicazioni.
Inoltre, valgono come per l’integrale di Lebesgue i teoremi di convergenza monotona e dominata.
Una differenza rispetto a quest’ultimo è però che l’integrabilità di una funzione non implica quella del suo valore assoluto. Si verifica infatti che, se una funzione è integrabile, il suo modulo è anch’esso integrabile se e solo se la sua funzione integrale è a variazione limitata.
Da questa limitazione deriva un lato in prima analisi negativo della teoria, cioè che lo spazio funzionale delle funzioni integrabili su un determinato dominio è sì uno spazio vettoriale, ma non è stata trovata una norma che lo renda di Banach.
Particolarmente usata su risulta la norma di Alexiewicz
Tale funzione soddisfa le proprietà di una norma quando vengono identificate due funzioni uguali quasi ovunque (altrimenti è una seminorma), come nella teoria di Lebesgue.
Integrazione su intervalli illimitati
La costruzione di Henstock e Kurzweil risolve anche un altro lato negativo dell’integrale di Riemann, cioè il problema dell’integrazione impropria: dando infatti una appropriata definizione di gauge su un intervallo illimitato, si verifica il seguente risultato:
- Se è integrabile su ogni intervallo limitato , allora è integrabile su tutto se e solo se esiste finito il limite . In tal caso, vale l’uguaglianza
È da sottolineare che la precedente formula, che nell’integrale di Riemann era una definizione, in questa teoria è una tesi. Questo teorema (che si può adattare anche per l’altra tipologia di integrale improprio) è dovuto a Heinrich Hake.
°°°°°
Lemma di Itō
In matematica, il lemma di Itō (“Formula di Itō”) usato nel calcolo stocastico al fine di computare il differenziale di una funzione di un particolare tipo di processo stocastico. Trova ampio impiego nella matematica finanziaria.
Il lemma è un’estensione dello sviluppo in serie di Taylor che si usa per funzioni deterministiche, ossia senza termine casuale, ed è applicabile per una funzione stocastica, ossia con un termine in dW.
In frazioni piccole a piacere della variabile temporale, una grandezza di questo tipo manifesta comunque un’elevata variabilità.
Dal lemma di Itō si ricava l’integrale di Itō, che estende e generalizza l’integrale di Riemann per funzioni stocastiche.
Diversamente dall’integrale di Riemann, non ha un significato geometrico, non è un’area.
Enunciato del lemmaSia un processo di Itō (o processo di Wiener generalizzato); in altre parole, soddisfa l’equazione differenziale stocastica:
Sia inoltre una funzione , avente derivata seconda continua. Allora:
- è ancora un processo di Itō;
Giustificazione informale del risultatoTramite un’espansione in serie di Taylor di si ottiene:
Sostituendo dalla SDE sopra si ha:
Lo sviluppo in serie di Taylor viene di solito troncato al primo ordine; già questo consente una buona approssimazione della funzione di partenza. In questo caso, bisogna considerare che i termini in vanno come quelli in ; avendo lo stesso ordine di grandezza troncando al primo ordine, devono essere considerati anche i termini in . Passando al limite per tendente a 0, i termini scompaiono. Infatti, nei limiti infinitesimi (a zero) prevale la potenza con esponente più basso, che arriva a zero più lentamente degli altri termini. Per contro tende a ; quest’ultima proprietà può essere dimostrata provando che:
- se
Sostituendo questi risultati nell’espressione per si ottiene:
come richiesto. Una dimostrazione formale di questo risultato richiede la definizione di un integrale stocastico.
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